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"Piselli al Dragoncello" (leggendo Goethe)

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In queste belle giornate i pisellini verdissimi mi fanno pensare a una piccola e magica scena libresca che ogni primavera torno a rileggere. Nessuno, credo, è mai riuscito a descrivere quella fascinazione per la natura che coglie ognuno di noi nella bella stagione così come ha fatto Goethe ne “I dolori del Giovane Werther”. Il libro, non è neanche il caso di dirlo qui, ebbe un successo straordinario e un’interpretazione controversa sin dalla sua pubblicazione (1774). Amato, odiato, tradotto, parodiato, emulato, condannato, assunto a emblema della gioventù, fu un vero e proprio avvenimento di costume che lo portò lontanissimo dalla semplice definizione di “romanzo del Desiderio d’amore”. In nome di tutto quel che il libro rappresenta si dimentica spesso di leggerlo, o almeno di gustarsi la meraviglia che si annida nelle sue pagine oltre, o nonostante, quello straziante spasmo d’amore per cui è celebre.
21 Giugno, Goethe, in mezza paginetta, coglie tutta l’aspirazione all’armonia di una umanità che si arricchisce e cresce non solo nel contatto con il sublime (e la Cultura), ma anche nella vicinanza all’umile e all’attività pratica (la Natura). Il suo Werther va nell’orto, coglie pisellini dolci, li sgrana, poi li cucina, e, seduto accanto al fuoco per rimestarli legge Omero. Davanti a quel pentolino di piselli Goethe addensa tutte le contraddizioni dell’animo umano: il maschile e il femminile, il divino e l’umano, il realismo e il sogno, la classicità e il romanticismo, la giovinezza e la vecchiaia, il germanesimo e la latinità, la tragedia e la commedia, la cultura e la natura. E tutta la misera limitatezza di Werther (che è anche la nostra) svanisce nella gioia di un gesto semplice, vero e antico come cucinare qualcosa che si è coltivato...

Quando allo spuntar del giorno esco e m’incammino verso Wahlheim e là nell’orto dell’osteria raccolgo da me stesso i piselli e mi metto a sedere e li sgrano leggendo frattanto il mio Omero...quando nella piccola cucina prendo un tegame, ci metto il burro, i piselli, il coperchio e mi siedo accanto al fuoco per rimestarli di tanto in tanto, mi sento pieno di vigore come gli arroganti pretendenti di Penelope che da sé macellavano buoi e maiali, li squartavano e li arrostivano. Non c’è niente che mi dia una sensazione di calma, di autenticità, come queste usanze di vita patriarcale che io, grazie a Dio, intesso senza affettazione nella mia esistenza di tutti i giorni.
Come son contento che il mio cuore sappia provare la semplice, ingenua delizia dell’uomo che mette sulla mensa un cavolo coltivato da lui stesso, e non il cavolo soltanto, bensì tutti i giorni belli, il bel mattino che lo piantò, le dolci sere che lo innaffiò, e la sua contentezza nel vederlo crescere di giorno in giorno: tutto si concentra in quell’istante.”
LIBRO PRIMO 21 giugno 1771
"I dolori del giovane Werther" di Johann Wolfgang Goethe


Data la nota passione di Goethe per la buona tavola, e l’abbondanza di suoi documenti, c’è anche chi si è preso la briga di studiare i suoi scritti privati (epistolari e diari) alla ricerca della ricetta dei “Pisellini alla Werther”! La ricetta non c’è, e non poteva essere altrimenti, per cui in“Zu Tisch mit Goethe” (di Erich Grasdorf e Peter Brunner) è indicata come plausibile sostituta una ricetta di “Piselli con panna agli aromi” tratta da ricettari dell’epoca. Io non ho seguito neppure quella...mi sono fatta ispirare dalle numerose suggestioni del momento.
Perdonate l’approssimazione, ma mi sembra più consona al romanticismo intimistico...

-In una pentola dal fondo spesso fondere un pezzetto di burro con un cucchiaino di farina bianca. Mescolare con cura, poi aggiungere i pisellini appena sgranati. Mescolare con un cucchiaio di legno, poi coprire i piselli con del latte fresco intero. Salare, pepare e cuocere incoperchiato a fiamma viva fino a che il latte non sarà stato quasi completamente assorbito dai piselli (qui dovreste avere il tempo di leggere Omero per circa 10/15 minuti, ma non concentratevi troppo sulla lettura!). Togliere la pentola dal fuoco, fare riposare i piselli, poi aggiungere un tuorlo d’uovo e un trito di Dragoncello. Mescolare bene, e servire caldissimi.



Torta Soffice con Fragole e Confettura di Rabarbaro (dopo una passeggiata a Porta Palazzo)

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C’è stato un periodo della mia vita in cui ho pensato che la mia vocazione alla chiacchiera e la mia curiosità mi avrebbero fatta diventare addirittura una guida turistica. Non avevo fatto i conti con estenuanti “passeggiate”, altrettanto estenuanti pappardelle storiche da conoscere a menadito e il fatto che nessuno si sarebbe filato un tour organizzato nei mercati significativi della città. Perché i mercati? Perché profumano, perché sono caotici, colorati, pulsanti e scombinati. Perché sono un modo bellissimo di curiosare una città dal basso, da quello che mangia e che compra per vivere! (Émile Zola docet, ma oggi niente letteratura). Diciamo che con la maturità ho abbandonato l’idea di stare a capo di una comitiva di arzille signore brandendo alto nel cielo un girasole come stendardo di riconoscimento, ma tutti gli amici che sono passati a trovarmi in questi anni hanno conosciuto Torino a partire dal suo mercato più celebre: Porta Palazzo (molto cortesemente ho riversato sugli ospiti la mia fissa per i "TourMarché")!!! Che dire cari amici, dopo tutto questo tempo, ricette e post ho pensato di portarci anche voi! Quindi ecco qualche foto del mio girovagare mattutino tra i banchi di Piazza della Repubblica. In realtà il giro comincia nel centro della città...che è talmente ordinato e rigoroso da mettere quasi in soggezione.

Questo è Palazzo di Città, sede del municipio della città di Torino. Le informazioni su questo luogo le troverete facilmente altrove, ma il mio "TourMarché" comincia qui nella la piazza di fronte al palazzo, detta un tempo Piazza delle Erbe, proprio perché a partire dal medioevo questo era il mercato degli ortaggi. Nei secoli poi i banchi sono stati spostati di qualche via (appunto verso la Piazza della Repubblica), ma se guardate bene tra i pilastri della strada vedete ancora oggi le tettoie in pietra delle antiche bancarelle.
Poco oltre comincia il mercato vero e proprio. E comincia anche il caos. Quindi, a parte la raccomandazione di non mettere troppo in mostra i propri averi, e di non farsi stordire dalle urla dei venditori, c’è poco da raccontare. Questo è uno dei mercati più belli, confusionari e forniti della città, a volte non sembra neppure di essere in Italia, e ci si trova davvero un po’ di tutto, anche se, come ogni mercato, forse non bisogna cercare niente di preciso e avere lo spirito della caccia al tesoro. Ah, dimenticavo per dovere di cronaca ho messo anche la foto del mio nemico “Il Lurido Pigeon”... detto anche “Ratto con le ali”. Non ci posso fare niente, se sul tendone di una bancarella c’è Lui, sotto non ci sono io. Per il resto, godetevi i profumi della frutta sotto le tende a strisce di questo mercato: impagabile quello delle fragole di maggio, che vi potrete portare a casa a prezzi ridicoli (rigorosamente a kg, perché sotto il kg qui non si scende!) e mature al punto giusto per finire in una torta deliziosa!


Torino, Mercato di Porta Palazzo, 
(Mercato all’aperto più grande d’Europa)
Piazza della Repubblica, 
da lunedì a venerdì fino alle 13.30 circa
il sabato fino alle 18.30 circa
per raggiungerlo: dal Municipio sempre dritto in via Milano... (vedete, come guida turistica non avrei avuto un futuro...)!


Torta Soffice con Fragole e Confettura di Rabarbaro”

Ingredienti:
-350 gr di fragole mature
-200 gr di farina 00
-3 uova intere
-120 gr di burro
-120 gr di zucchero di canna Dulcita Altromercato
-100 gr di confettura di rabarbaro (sostituibile con altra confettura - albicocche, mirtilli, lamponi)
-15 ml di Rum (un cucchiaio)
-8 gr di lievito per dolci (mezza bustina)
-un pizzico di sale
-zucchero a velo

Procedimento:
-Lavate le fragole, poi asciugatele bene in uno strofinaccio. Mondatele e tagliatele a pezzettini. Mettetele in una terrina insieme alla confettura di Rabarbaro (io la trovo al Conad della marca “Nos Région ont du Talent”) e al Rum. Mescolate bene e tenete da parte. Intanto accendete il forno e portatelo a 180°. In una ciotola montate con le fruste elettriche le uova con 100 gr di zucchero e un pizzico di sale. Incorporate 100 gr di burro fuso e la farina setacciata insieme al lievito. Lavorare l’impasto per circa 5 minuti. Ungere con il burro rimasto una tortiera da 24/ 26 cm e cospargetela con i 20 gr di zucchero di canna avanzati e trasferitevi l’impasto. Mescolate bene le fragole macerate e rovesciatele delicatamente sulla superficie del composto. Infornate e cuocete per 45 minuti. Fate raffreddare la torta e spolveratela con zucchero a velo.

Crème Caramel di Asparagina con Mosto Cotto

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La sera soffocando nel caldo umido potenziato dall’uso dei fornelli mi ripropongo di diventare almeno almeno crudista, il mattino successivo con la finestra aperta curioso nei vostri blog, sfoglio qualche rivista, mi fisso su una foto, e ricomincio a cucinare. Mi dico: «ultima volta che accendo il forno, giuro, da domani lo trasformo nell’ennesimo ripostiglio segreto per teglie! ». Ma il buon proposito dura fino alla spesa: poi al mercato trovo qualche mazzolino di aspargina* e riaccendo il forno!

*Per asparagina si intendono sia i turioni dell’asparago selvatico sia quelli prodotti da una asparagiaia a fine stagione. Questi ultimi, essendo meno pregiati, hanno prezzi molto bassi in questo periodo, e sono perfetti per tutte le preparazioni in cui la pianta va tritata/frullata o usata come ripieno.

Crème Caramel di Asparagina con Mosto Cotto”

Ingredienti:
-200 gr di asparagina mondata
-200 gr di latte
-40 gr di Parmigiano Reggiano
-4 uova
-1 foglia di alloro
-sale, pepe nero qb
-burro per ungere gli stampini

Procedimento:
-In un pentolino portare a bollore il latte, poi spegnere il fornello, salare, pepare secondo i gusti, e unirvi il parmigiano e l’alloro. Mescolare bene e fare riposare. Intanto accendere il forno e portarlo a 150°.
-Cuocere a vapore l’asparagina già mondata (con la vaporiera elettrica sono sufficienti 10 minuti). Poi tagliarla a pezzettini e trasferirla nel bicchiere del mixer a immersione. Coprire i pezzetti di asparagina con il latte tiepido (togliete la foglia di alloro!), e frullare il tutto con il mixer procedendo a impulsi.
-In una terrina sbattere appena le quattro uova, rovesciarvi sopra il composto di latte e asparagina  e mescolare bene.
-Imburrare 4 o 6 stampini di alluminio per crème caramel e preparare una teglia adatta a fare il bagnomaria (io uso una lasagnera). Gli stampini per budino dovranno essere immersi in acqua abbastanza calda per 1/3.
- Riempite di crema verde gli stampini per crème caramel, sistemateli nella teglia del bagnomaria e infornate a 150° per 60 minuti circa. Sfornate i crème caramel toglieteli dal bagnomaria, e lasciateli intiepidire. Sformateli incidendo i bordi con un coltellino, e girandoli direttamente al centro del piatto. Servite con un cucchiaino di Mosto Cotto come finitura simil caramello.

"Sambusi Somali con Parmigiano Reggiano"

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Le ricette sono bagagli invisibili che ci portiamo sulla schiena in ogni spostamento. Sono viaggiatrici che ci seguono e inseguono nei nostri vagabondaggi per il mondo adattandosi con noi a quel nuovo pezzetto di mondo che abbiamo deciso di abitare, esplorare, villeggiare e conoscere!
Quando ho letto che il tema della seconda edizione della Parmigiano Reggiano Chef, quest’anno è il Cross Cooking, ovvero l'arte di unire diverse culture in cucina e di valorizzare la versatilità del Parmigiano Reggiano la mi fantasia si è scatenata su infinite ricette, sapori, emozioni. Poi mi sono fermata un po’ su quel “Cross” e sui suoi mille significati. Tra tutti i miei preferiti sono: attraversare, incrociare, ibridare, percorrere, traversare, valicare, varcare! Così ho messo da parte le suggestioni, in attesa di una ricetta che davvero, per me, significasse tutto questo. Eccola, un fogliettino spiegazzato cade da un libro, e torna il racconto degli anni in Somalia. La ricetta è approssimativa, il racconto è lontano, mediato dal tempo e dai ricordi. Approfondisco, cerco qualche informazione e scopro che questo piatto “ha le gambe buone”, e una storia che comincia ben più lontano della Somalia dove è stata raccolta e trascritta su quel fogliettino che è arrivato sino a me. I Sambusi, infatti, non sono altro che l’adattamento somalo dei Samosa indiani. I celebri fagottini sono citati per la prima volta verso il XIV secolo dal poeta indo-persiano Amir Khusrau come uno dei cibi favoriti dall’aristocrazia musulmana di Delhi per i suoi strabilianti banchetti (la ricetta dell’epoca prevedeva una farcitura a base di carne tritata, cipolle e burro chiarificato -ghee-). Da Delhi i samosa si sono diffusi nel resto dell’India, e poi, sotto il Raj Britannico, a partire dal XVIII secolo, hanno raggiunto un po’ tutti quei paesi che hanno subito la dominazione inglese, dal Kenya al Sud Africa, da Mauritius ad Hong Kong... Trasportati delle truppe militari, dalla servitù indiana, o dai commerci al seguito degli inglesi i Samosa sono stati sparpagliati nel mondo intero. Trasformati, adattati e aggiustati alla realtà locale ovunque i samosa hanno riscosso un tale grandissimo successo da far quasi dimenticare le antiche origini del piatto (si possono trovare con nomi diversi in Iran, in Turchia, in Eritrea, in Mozambico in nord Africa e in ogni indian fast food del Regno Unito). Lo stesso è accaduto in Somalia: la comunità di pakistani e di indiani musulmani che commerciano a Mogadiscio è sempre stata molto numerosa, ma questo piatto ormai è tanto radicato nella gastronomia delle città costiere da essere ovunque indicato come tradizionale somalo. Ecco quindi la mia -ennesima- versione (con Parmigiano Reggiano) di un piatto che ha davvero attraversato il mondo, i confini, le lingue, le religioni...a dimostrazione che tante volte il cibo è spesso una delle migliori “comunicazioni interculturali” di cui è capace l’umanità!


Sambusi Somali con Parmigiano Reggiano”


Ingredienti per 20 Sambusi
Per la pasta:
-500 gr di farina 00
-120 ml di olio extravergine di oliva
-300 ml di acqua
-8 gr di sale fino
+ farina per spianatoia e per infarinare i Sambusi
Per il ripieno:
-250 gr di patate
-250 gr di carne macinata di bovino adulto
-50 gr di cipolla o scalogno
-50 gr di peperone rosso
-40 gr di Parmigiano Reggiano grattugiato 24 mesi di stagionatura
-qualche foglia di prezzemolo
-una decina di grani di coriandolo
-sale, pepe nero e olio extravergine di oliva q.b
olio per friggere (arachidi)
Per la colla:
-10 gr di farina 00
-30/45 ml di acqua fredda

Procedimento:
-In una terrina mettere la farina setacciata e il sale fino, aggiungere l’olio extravergine d’oliva al centro e una parte dell’acqua. Cominciare ad impastare con una forchetta fino ad avere un impasto grossolano. Trasferirlo sulla spianatoia infarinata e proseguire a mano. Aggiungere poca acqua per volta, perchè si deve ottenere un impasto abbastanza duro (simile a quello per la pasta fresca di grano duro). Non è detto che sia necessaria tutta l’acqua indicata tra gli ingredienti.
Una volta ottenuta una palla di pasta riporla sotto un canovaccio o sotto un piatto e farla riposare per circa mezz’ora.
-Preparare il ripieno: lavare e pelare le patate, tagliarle in 2 o 3 pezzi, fare bollire per circa 15 minuti. Scolare e fare raffreddare. Su un tagliere affettare sottillissimamente la cipolla. In un piccolo mortaio per spezie frantumare una decina di grani di coriandolo sino ad avere una polvere sottile ed aromatica (se non avete il mortaio usate una coppetta in ceramica e un cucchiaio di legno come pestello). In una padella antiaderente fare scaldare due cucchiai di olio, rosolarvi la polvere di coriandolo (se non amate i sapori troppo speziati pestate il coriandolo più grossolanamente, fatelo insaporire bene nell’olio caldo, e poi rimuovetelo, in questo modo avrete solo il suo aroma delicatissimo). Non appena il coriandolo sprigionerà il suo caratteristico profumo aggiungete la cipolla e fatela imbiondire. A questo punto unite la carne macinata e portate a cottura. Nel frattempo tagliare a cubetti le patate bollite (5mm di lato), e il peperone rosso (precedentemente mondato) in piccola dadolata e, a parte, tritare molto grossolanamente le foglie di prezzemolo. In una ciotola mescolare la carne macinata intiepidita, le patate a cubetti, la piccola dadolata di peperone, il prezzemolo, e il Parmigiano Reggiano, poi aggiustare con sale e un poco di pepe nero macinato secondo i gusti.
-Preparare la colla mescolando con una forchetta in una ciotolina i 10 gr di farina con l’acqua fredda.
-Dividere l’impasto in quattro parti, sulla spianatoia infarinata stendere una parte di pasta con il mattarello: deve essere spessa circa 2 mm. Incidere sulla pasta un grande cerchio di circa 20 cm di diametro (potete usare una teglia rotonda per torte). Al centro del disco di pasta incidere una croce. Tenere sul palmo della mano sinistra uno di questi triangolini di pasta, poi, con l’indice della mano destra fare su uno dei due lati una striscia di “colla” di farina e acqua. Appoggiare il lato senza colla su questo lato e premere energicamente in modo da sigillare il conetto di pasta che avete tra le mani. In questo modo otterrete un cono “aperto” in alto simile a quelli utilizzati per i pop-corn. Riempire il conetto sin quasi al bordo con il ripieno. Con la colla umidificare un poco il lembo di pasta e sigillare i fagottino con la pressione di pollice e indice. Procedere così sino ad aver esaurito pasta e ripieno, disponendo i fagottini appena fatti su un vassoio cosparso di farina. 





-Scaldare l’olio di arachidi in una padella bassa e larga adatta alla frittura. Quando l’olio è ben caldo friggere i Sambusi, prima da un lato (devono essere ben dorati), poi dall’altro (girarli solo una volta, motivo per cui non è necessaria una pentola profonda per questa frittura). Asciugare i fagottini su carta assorbente da cucina e servire caldi con insalata verde e peperoni di accompagnamento.

Con questa ricetta partecipo a CrossCookig di Parmigiano Reggiano

http://crosscooking.parmigianoreggiano.com/

"Frutta Sotto Spirito", detta anche "Frutta in Guazzo"

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Come ogni anno con la bella stagione mi è tornata la mania della formica che vuole “mettere sotto vetro” l’abbondanza e i colori dell’estate. Per ora però, non ho tempo di fare confetture e affini, per cui ho rispolverato un grande classico, velocissimo da preparare: la frutta sotto spirito! Non ridete cari amici, mentre le cicale mangiano anguria, meloni, insalate e gelati, io penso alla tavola di Natale, e lo so già, questi fruttini saranno un fine pasto alcoolico delizioso!!!
Dunque, il principio è semplice: in un bel vaso con chiusura ermetica si aggiunge la frutta che matura man mano durante l’estate, e questa specie di macedonia è felicemente sommersa di rum e zucchero!
Le varianti sono infinite: può variare la frutta che decidete di usare, il tipo di “spirito” per conservare (Rum, Brandy, Alcool puro), il contenitore (terracotta, o vetro), il procedimento (con o senza macerazione della frutta), e infine anche il nome che va da “Frutta mista alla Russa”, a “Rumtopf” (verso l’Austria o la Germania), all’italianissimo “frutta in guazzo”. Insomma, dato che questa ricetta, più di altre, è una non-ricetta, ma semplicemente una suggestione, io per simpatia vi scrivo la mia ispirazione, che è il mitico Pellegrino Artusi.
E subito dopo la mia non-ricetta, che, abbiate pazienza aggiornerò strada facendo da qui a Natale... Allora che dite? Lo preparate con me?? Dai che qualche fragolina di montagna si trova ancora...

Artusi 779. Frutta in guazzo
A chi piace le frutta in guazzo, può riuscire gradito il seguente modo di confezionarle.
Cominciate dalle prime che appariscono in primavera, cioè: dalle fragole, dal ribes e dai lamponi, e ponetene in un vaso 50 o 100 grammi per sorta; copritele con la metà del loro peso, di zucchero e tanta acquavite o cognac che le sommerga. Poi proseguite con le ciliege, le susine, le albicocche, le pesche, tutte private del nocciolo e, all'infuori delle ciliege, tagliatele a lettine, aggiungendo sempre in proporzione zucchero ed acquavite. Potete mettervi anche uva spina, uva salamanna e qualche pera gentile; ma poi assaggiate il liquido per aggiungere zucchero od acquavite, a tenore del vostro gusto.Formato il vaso, lasciatelo in riposo per qualche mese prima di servirvene.

Betulla 145. Frutta estiva Sotto Spirito
Per cominciare occorre un contenitore capiente (io ho comprato in ferramenta un vaso di vetro da 5 litri con chiusura a guarnizione di gomma, ma esistono appositi -bellissimi e costosi- vasi da Rumtopf). Poi ho deciso di usare il Rum (in ogni caso sappiate che, qualunque “spirito” scegliate deve avere almeno 40% di gradazione alcoolica, e deve sempre coprire la frutta, quindi fatene una bella scorta). Infine la frutta: io di solito utilizzo prevalentemente frutti di bosco, un po’ perchè abbondano nell’orticello della mia mamma, un po’ perchè risultano quelli più adatti a questo tipo di conservazione (la frutta troppo acquosa fermenta), e comunque sulla famosa tavola natalizia sono sempre i preferiti. Ah, dimenticavo lo zucchero bianco e la Santa Pazienza: nel scegliere frutta soda e perfettamente matura, nel lavarla e asciugarla con cura, nel rabboccare l’alcool, assaggiare, aggiustare e coccolare quel vaso coperto di carta alluminio che riposerà nel buio della vostra cantina fino Natale.

E ora qualche raccomandazione:
-Sterilizzate il vaso contenitore prima di iniziare la preparazione.
- Ogni volta pulite bene la frutta, lavatela e mettetela ad asciugare un paio di ore su carta assorbente da cucina. Rovesciatela delicatamente nel vaso, aggiungete lo zucchero, e se necessario, coprite di Rum. É consigliato usare quei “presselli in plastica” per tenere a bagno i sott’oli. Fate riposare il vaso ben chiuso in un luogo fresco e buio, in ogni caso meglio avvolgerlo in carta alluminio. Non è necessario aspettare che passi troppo tempo tra una aggiunta e l’altra, l’importante è che lo zucchero sia ben sciolto (ogni tanto scuotete un poco il vaso)!
-Io preferisco tenere le proporzioni di una parte di zucchero ogni tre di frutta. Perchè fare proprio la metà, come indica l’Artusi, mi pare un po’ troppo dolce. Per ora la frutta si conserva bene, poi c’è sempre tempo ad aumentare lo zucchero.

Elenco frutta aggiornata al 1 luglio 2014: 
 
Fragole: piccole e sode (meglio se di montagna), se le trovate solo grandi tagliatele a metà.
Ciliegie: io le ho lasciate con il nocciolo, ma ho tolto il picciolo.
Ribes Rosso: non abbondate perché è piuttosto asprigno e zeppo di semini.




Cornmeal Pancakes

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Sinceramente non so perché c’è stato un periodo in cui più un libro era un “drammone” più veniva consigliato come letteratura per l’infanzia. Proprio non mi capacito di come certi polpettoni siano finiti tra i libri per ragazzi (e a un certo punto su questo “fraintendimento” ho anche pensato di farci la tesi!). Fatto sta che quando io avevo una decina di anni non c’erano Harry Potter, Geronimo Stilton, Eragon... e altri ameni eroi della fantasia. A parte qualche fulminea comparsa di Roald Dahl, le mie letture erano tarate sullo scaffale strampalato e miserello di una minuscola biblioteca di paese (fermo immobile sulle linee dell’istruzione degli anni ‘50) che non aveva altro che i grandi classici per bambini. Insomma in mancanza d’altro li ho letti tutti, ma che strazio! Ogni tanto ci ripenso, e mi rendo conto che sono stati una bella compagnia, ma anche un segno indelebile sul mio animo sensibile e moolto propenso all’immedesimazione. Alcuni credevo anche di averli dimenticati, scoloriti dal tempo e dispersi nella moltitudine dei personaggi libreschi che mi pare di conoscere come persone in carne ed ossa. Invece no! Certe cose non si dimenticano: ho partecipato alla loro avventura come se si trattasse della mia vita, e questa condivisione è incancellabile. 

Così quando qualche mese fa ho visto questa foto non ho potuto non pensare a lei, a zia Chloe, della Capanna dello zio Tom, di romanzo del 1851 di Harriet Beecher Stowe. Non mi metto a raccontarvi quel terribile calvario sullo schiavismo nero che è il romanzo. Ma qualcosa di lei, di zia Chloe, ve lo ricordo, perché sono sicura che piacerà anche a voi. Dunque, Chloe, moglie di Tom, era la responsabile della cucina della casa padronale della piantagione, una cuoca “fin nel fondo dell’anima” descritta con un bel turbante a scacchi e il suo viso grande, dalla pelle lucida. Le sue doti di cuoca eccellente, metodica e istruita non si rivelano soltanto nella cucina dei padroni, ma soprattutto nella sua capanna (una stanza che è insieme cucina, camera da letto e abitazione), dove, nonostante la scarsità di mezzi e ingredienti Chloe riesce a sfornare una varietà incredibile di cibi appetitosi (pur se tutti a base di granoturco). La bontà dolcissima di questa donna, e le sue incredibili capacità, non poterono nulla contro l’abominio di un sistema che separava e sfruttava gli uomini in base al colore della pelle (e il romanzo non è che la pallida imitazione di quel che vergognosamente è stata la realtà). Ma qui vi racconto la storia della fotografia, che è la storia di un’altra schiava, Nancy Green. Il suo bel sorriso e il carattere gioviale le portarono fortuna: la nota marca alimentare “Aunt Jemima” la ingaggiò per diventare “il volto” di un suo preparato per pancakes, e per una “campagna pubblicitaria”, che, di fiera in fiera la portò in giro per tutta l’America. Era il 1893. Per una volta la realtà è stata migliore di una storia di fantasia. 

Unendo queste due storie ecco la ricetta di pancakes un po’ speciali. Naturalmente sono a base di farina di mais, sia perché il Kentucky, dove è ambientato il romanzo, è considerato uno stato della Corn-Belt, cioè cintura del granoturco, (per la prevalenza di questa coltura agricola), sia perché Chloe è abilissima a preparare con poco o niente tutte le varietà immaginabili di corn-cakes dolci, salati, al forno, sulla piastra...
In questi tempi la cucina americana è particolarmente di moda, per cui abbondano libri e libroni “American...nonsochè”, che risultano indubbiamente appetitosi (almeno per le belle fotografie che li addobbano). Però volete un consiglio? Andate alla fonte, cercate“The Joy of Cookin” di Irma S. Rombauer del 1931(e edizioni successive). C’è tutto quel che vi può passare per la testa di veramente, ma veramente Americano. E anche qualcosa in più...come questi meravigliosi Cornmeal Pancakes...

Cornmeal Pancakes 
(da The Joy of Cooking -All about Breakfast & Brunch. 2001)
Ingredienti:
(non traduco le cups perchè mi sono dotata di un fantastico misurino e con quello ho fatto la ricetta, per una volta senza conversioni):
1.Mescolare tutti questi ingredienti in una terrina:
-1 ¼ cups di farina gialla di mais, meglio se macinata a pietra (io ho usato il fioretto)
- ¾ cups di farina bianca 00
-1 ¾ cucchiaino di lievito chimico per dolci
- ¾ cucchiaino di sale
2.Mescolare questi ingredienti in un’altra ciotola:
-1 ⅔ cups di latte
-4 cucchiai di burro non salato fuso
-¼ cup di sciroppo d’acero
- 2 uova grandi
3.Unire gli ingredienti umidi a quelli asciutti, mescolare bene sino ad avere un composto omogeneo. Volendo si può aggiungere qui ¾ cup di chicchi di mais freschi (o congelati). Fondere un pezzettino di burro (o ungere con olio) una padella antiaderente, o l’apposita piastra per pancakes. Fare scaldare bene la superficie, poi rovesciarvi un mestolino di composto. Cuocere da un lato, poi girare il pancake dall’altro con l’aiuto di una spatolina (come dice il testo: “cook until the top of each pancake is speckled with bubbles ad some bubbles have popped, then turn and cook until the underside is lightly browned”). Capito? Il pancakes è tutta una questione di bolle!!! Procedere così, ungendo bene la piastra per ogni pancakes. Servire immediatamente con sciroppo d’acero e yogurt, o conservare al caldo in forno coperti con carta alluminio.




Torta Semplice con amarene, yogurt e olio extravergine

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Com’è semplice la Terra di mattina...”
L’avevo scritto chissà quanto tempo fa vicino a questa ricetta. É un verso di Neruda: “Ode alla semplicità”, appunto. Ogni volta che guardavo il vasetto di Amarene Fabbri sulla credenza mi venivano in mente dolci ricchi, complessi, direi quasi barocchi. E non trovavo mai in tempo di eseguirli per davvero. Poi l’illuminazione: ho riletto questa ricetta, e la ciliegina sulla torta è diventata una ciliegina nella torta. Dolce leggerissimo, gustoso e soffice, perfetto per la colazione, e semplice semplice, come la Terra di mattina.

Torta Semplice con amarene, yogurt e olio extravergine”
Ingredienti:
-200 gr di yogurt bianco intero
-160 gr di farina 00
-150 gr di Amarene Fabbri
-100 gr di zucchero bianco + 50 gr di zucchero di canna
-80 gr di olio extravergine di oliva + un cucchiaio di olio per ungere la teglia
-80 gr di fioretto di mais
-75 gr di maizena
-3 uova
-una bustina di lievito chimico per dolci
-mezzo limone non trattato
-un pizzico di sale

Procedimento:
-Accendere il forno e portarlo a 180°. In una terrina sbattere con una frusta le uova con gli zuccheri, la scorza grattugiata di mezzo limone e il pizzico di sale. Unire il fioretto di mais setacciato lo yogurt e l’olio extravergine d’oliva. Mescolare bene, poi aggiungere 140 gr di farina, la maizena e il lievito vanigliato (setacciare tutto).
Scolare 150 gr di amarene (non deve esserci liquido dello sciroppo), eventualmente dividetele a metà (o se preferite in parti più piccole), poi infarinatele con i 20 gr di farina rimasta e incorporatele al composto.
-Ungere una teglia da 26 cm di diametro con poco olio extravergine (utilizzare un pezzo di carta da cucina per oliare bene le pareti), e infarinare con una cucchiaiata di farina 00. Versare il composto nella teglia e cuocere per 35-40 minuti.

Con questa ricetta, partecipo al contest : "La Cucina Italiana nel Mondo verso l'Expo 2015", organizzato da Le Bloggalline, in collaborazione con INformaCIBO  
categoria “Dolce Italia (con prodotti Fabbri 1905 e non solo)":



My CookShelfie

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Estate (forse?), viaggi, sole e nuove scoperte! E chi resiste alla tentazione di un bel Selfie? A chi non viene voglia di fotografarsi, pubblicarsi, condividersi e farsi invidiare un po’? Se non proprio tutti interi, almeno i piedi laccati di fresco, la pancia piattissima, o un pezzo di costume nuovo su un tramonto mozzafiato, su un’onda di mare blu...insomma, che si capisca che siamo in vacanza, in panciolle e nell’unica porzione di paradiso in terra preclusa ai più!!
Non che io non abbia certe estive e riflessive vanità, ma siccome penso che a nessuno interessi davvero vedermi in calzoncini sbucherellati mentre, sudaticcia, supporto la dolce metà nella tinteggiatura di casa ho ripiegato su un simpatico giochetto di parole. Dunque, The Guardian, per ironizzare sull’imperante mania degli autoscatti fotografici, detti appunto selfie, ha aggiunto una piccola, minuscola h alla parola, lanciando così la nuova tendenza dei Shelfie, ovvero, il ritratto non di noi stessi, ma della propria libreria (da shelf, scaffale). Io ho declinato sullo scaffale dei libri di cucina, che poi, secondo la dolce metà, hanno la misteriosa capacità di moltiplicarsi nelle notti di luna piena, di infilarsi in ogni anfratto di casa, e di invadere lo spazio vitale dei suoi, di libri. Io dico semplicemente che i libri di cucina parlano, quando mi vedono cominciano a piagnucolare: «portami con te, sono sicuro che mi vorrai bene: ti sarò fedelissimo, ti compenserò con segreti e trucchetti che possiedo solo io, con manicaretti stellari, e avrai soddisfazioni e complimenti! ». E per tanto poco cosa vuoi fare?, io li adotto! Così eccovi il mio CookShelf...che un tempo consisteva in un solo ripiano della libreria, ma in poco più di un anno ha guadagnato una sede staccata ufficiale (un ripiano dello scaffale dei romanzi), e la proprietà tutta libresca di adattarsi al cantuccio che in quel momento è libero. 

Per cui ci sono miei libri di cucina tra gli orecchini e le scatole di timbri, sotto la scrivania, tra il termosifone e il pc...in ogni dove, e sono contenta così, sennò non sarei una foodblogger!!! Allora vi ho convinti? Non dice più cose di voi la vostra libreria che una faccia abbronzata?? Secondo me si...
Ah, rimanete su questi schermi, perché ho intenzione di parlare di libri per tutta l’estate: cosa c’è di più bello che leggere in vacanza??


La mia TopTen di Libri di Cucina

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Dieci libri di cucina indispensabili. A cosa servono le liste? Forse solo a vedere se tra un anno la penso ancora allo stesso modo? Non lo so, comunque, come vi ho detto, ho intenzione di passare il resto dell’estate a chiacchierare di CookBooks, per cui comincio con quelli che per me sono ASSOLUTAMENTE indispensabili, infallibili  e necessari. Libri che sono compagni di vita, quelli di cui sono perdutamente innamorata, quelli che da soli sono un universo, quelli che ci sono sempre (per ogni evenienza, dalla cenetta romantica, al banchetto di Natale sberlucicante,  dalla ricetta etnica, alla spalla-pagina/ricetta- su cui piangere). E voi? Avete una Top Ten? Portereste con voi un libro di cucina su un’isola deserta o vorreste solo la compagnia della Bibbia? Che libro regalereste a un pasticcere dilettante, a una foodie-letterata o come dono di nozze? Forse qui trovate qualche buona idea...



Le Cordon Bleu, Scuola di Cucina.
Questo libro raccoglie più di 700 tecniche culinarie della celebre scuola di cucina parigina “Le Cordon Bleu”. Non sono tecniche all’ultimo grido/moda/stella, non troverete una capitolo sulla cucina molecolare, per intenderci. Qui sono trattate in modo chiaro e coinciso tecniche base, da vera e propria scuola di cucina livello1, che comincia con l’illustrare la batteria di pentole e i coltelli, passa per i tagli delle carni e i brodi per finire sui dolci. Con testi chiari, supportati da foto belle ma soprattutto utilissime, lo spirito del libro è all’incirca: "tutto quello che uno chef professionista può insegnare a chi si accosta alla gastronomia da una dimensione casalinga". In 15 capitoli quel che c’è da sapere per cominciare bene a cucinare è passato in rassegna, approfondito e fotografato. Non manca niente, con semplicità mai banale ci sono le informazioni per scegliere gli ingredienti migliori, i modi per prepararli, le differenti cotture, e infine le presentazioni/decorazioni (e c’è anche la chicca di un piatto firmato Cordon Bleu per ogni sezione).
L’appassionato impara, il cuoco ripassa, il professionista vede cosa vuol dire insegnare bene.
Tra i pregi non è da sottovalutare il prezzo, 10 euro per un libro di 352 pagine sono davvero ben spesi. Tra i difetti c’è qualche preparazione un po’ troppo lontana dal nostro gusto (ad esempio il “Fiore d’aglio”, cioè una testa d’aglio tagliata in orizzontale e fatta arrostire in forno), o piatti inseriti per “dover di cronaca”, tipo pizza, o focaccia, che comunque un italiano preparerebbe in modo diverso.
La mia ricetta preferita: Saté di pollo.

(E qui la ricetta delle Frittelle di verdura). 

 
Grande Enciclopedia illustrata della gastronomia
Dalla A di Abalone (mollusco), alla Z di Zuz (formaggio della Carnia), qui c’è tutto, ma proprio tutto, e come vedete anche di più di quel che vi può essere utile sapere in cucina. Sarà che a me i dizionari piacciono, sarà che saltellare da una voce all’altra è per me un divertimento irresistibile, ma alla fine questa Enciclopedia è diventata una lettura da salotto, nel senso che la tengo sotto il tavolino della sala per leggiucchiarmela nei momenti di relax (e devo dire che anche la dolce metà non disdegna tanto interessante sapere gastronomico). Avete un dubbio? Uno qualsiasi, che può andare da: «cosa sono i Bruscandoli Padovani », «Come tagliare il pollo in otto, dieci o dodici pezzi ». Bene, lei è lì per risolverlo. É il libro ideale da regalare a un vero appassionato di cucina, un cuoco nell’anima, e un lettore curioso, che si perderà amabilmente nella vertigine di informazioni, piatti e curiosità che questa bella enciclopedia saprà regalargli.
La prima versione, del 1990 del edita da Selezione dal Reader's Digest e curata da Marco Guarnaschelli Gotti, non è più stampata, infatti è ormai oggetto di culto nei mercatini dei libri usati e su e-bay.  Ne esiste una nuova versione aggiornata e arricchita sotto la guida di Carlo Petrini e Alberto Capatti, con la partecipazione dello staff dell’Università degli Studi di Scienze gastronomiche, presenta 6000 voci che codificano la nostra cultura popolare e materiale. L’aggiornamento dell’enciclopedia deve essere sicuramente l’aspetto più interessante di questo lavoro (dai marchi al vino, dai nuovi cuochi alle cucine etniche), ma, dato il prezzo piuttosto alto (sugli € 80,00) non ho ancora avuto modo di prenderla in mano e farmene un’idea precisa. Ah, non cadete in tentazione con la versione economica a 30 €, senza illustrazioni che enciclopedia illustrata è?
La mia voce preferita: Rossini Gioacchino (musica, tartufi e foie gras, un vero uomo di mondo che sapeva vivere moolto bene).



Christophe Felder, Patisserie!
Non ci sono santi, la pasticceria è lui! Tutti gli altri vengono dopo. In Francia le edizioni Minerva avevano pubblicato ben 9 volumi del signor Felder dedicati alle basi della pasticceria (Paste e torte, Creme, Decorazioni, Torte Classiche, Cioccolatini, Le Torte dell’avvento, I Macarons, Brioches e Viennoiseries, Mignardises), a circa 19 euro l’uno. Ora  invece, in questo bellissimo mattone fuxia da 2,7 kgr (circa 40 euro) potete trovare riuniti tutti i magnifici 9...per sbizzarrirvi dalle basi agli arabeschi più sfrenati e goduriosssi della vostra zuccherosa fantasia. Vivrete a lungo come su un’isola deserta, semplicemente voi e Felder, in un burroso idilio che nessun altro pasticcere potrà turbare (210 ricette, 3200 fotografie che illustrano le ricette passo passo). Ma c’è un però, e anche bello grosso. L’edizione italiana è stata fatta malissimo, con errori grossolani di traduzione e, udite udite, grammature sbagliate. Ora cosa c’è di peggio che mettersi ai fornelli pregustando un dolce delizioso, e finire con buttare via tutto (tempo e materie prime) grazie a una ricetta sbagliata??? Insomma, se potete, e conoscete il francese, compratelo in lingua originale, altrimenti controllate con cura ogni grammatura...la rete pullula di persone arrabbiate che hanno già provato, corretto e rifatto proprio la ricetta che volevate fare voi.
La mia ricetta preferita: Amande Chocolat.



Anna Gosetti della Salda, Le Ricette regionali italiane.

“Un lavoro di ben quattro anni: due volte il giro gastronomico attraverso l’Italia. Tutto questo per perfezionare questa raccolta di ricette regionali, attingendo a fonti ben precise ed attendibili - scrive l’autrice nella prefazione della prima edizione - Da chilometro a chilometro anche la ricetta più tradizionale può variare, perché ogni famiglia la elabora a modo suo e naturalmente ognuna ritiene valida la propria preparazione. Ricerca quindi non solo di ricette, ma di persone che ne fossero le fedeli e riconosciute depositarie, assicurandomi la possibilità di poter riproporre delle esperienze gastronomiche assolutamente autentiche e originali. Cibi che corrispondono ad un clima, ad un costume, che a volte non si possono neppure concepire oltre i limiti geografici del loro consumo, ma che sono spesso irripetibili”.
Nelle case italiane dal 1967, anno della prima edizione, questo bel tomo marrone fotografa la cucina regionale italiana in 1204, ovvero 2174 ricette, suddivise nella classica partitura “antipasti e salse” “minestre (asciutte e in brodo)”, “pesci”, “verdure”, “piatti di mezzo” e “dolci”.  Le preparazioni sono riportate con la maggior fedeltà possibile e scritte tenendo conto delle reali possibilità di una cucina media italiana degli anni ‘60. Le ricette, inoltre, sono state tutte provate e riprovate, secondo la metodologia che l’autrice aveva già adottato con la rivista “La Cucina Italiana”, di cui è stata direttrice dal 1952 al 1981 (e che ancora oggi si definisce “una rivista con la cucina in redazione”). Che dire, forse conoscendo molto bene la tradizione enogastronomica di una certa regione, e confrontandola con quella selezionata dalla signora Gosetti della Salda qualche difettuccio salta fuori (incompletezza o scelta di riportare solo una delle mille varianti di quel certo piatto). Ma se lo prendete come una buona e curiosa infarinatura generale, senza cioè pretendere la precisione dell’abitante del luogo che ha praticato quella cucina per tutta la vita, questo librone non vi deluderà. Ah, dimenticavo, non ci sono illustrazioni, solo romantici e desueti disegnini di padelle, paioli e mestoli (scelta vincente, credo, perchè oggi un libro di cucina con fotografie di 40 anni fa sarebbe obsoleto e terribilmente invecchiato).
La mia ricetta preferita: 459. Frittata di Riso (Lombardia).

N.B: questo libro fa parte dei Classici della Biblioteca dello Starbooks, un fantastico blog in cui leggiadre donzelle ogni mese testano nelle loro cucine le ricette di un BookCooks. Il loro severo giudizio è una garazia di qualità, oltre ad essere una amabile e spassosa lettura. Qui trovate alcune ricette del libro di Anna Gosetti della Salda con pro e contro.


Valeria Calamaro (con Concita Cannavò), Spezie, I sapori del mondo in cucina.

Questo libro è diviso in tre parti, si potrebbe dire una parte per la complessa Realtà del mercato delle spezie, una parte sulla Poesia che questi aromi sprigionano (dalla A di anice alla Z di zenzero, le spezie, come le persone, hanno storie curiose e personalità ben precise), ed infine la Fantasia delle ricette in cui questi semi, erbe, radici, foglie, bacche diventano protagonisti assoluti. Il ricettario di Valeria è un luogo di incontri: accanto ad ogni ricetta (tradizionale o etnica) si trova la versione vegana di Concita, che ha collaborato con l’autrice per ricreare un’alternativa praticabile da coloro che vogliono escludere dalle pietanze alimenti di origine animali e i loro derivati; inoltre alcune ricette sono proposte dai ristoranti del Circolo del Cibo, una interessantissima rete di «cucine sensibili» dove gli chef, nei loro menu, fanno dialogare ingredienti equi e materie prime del territorio (www.ilcircolodelcibo.it). È un libro che ben si adatta ad una lettura d’istinto e di curiosità, lo si può esplorare entrando da tante porte (anche dal blog dell’autrice www.fattidicannella.it), ma in ogni modo si finisce con una gran voglia di andare a comprarsi un mortaio (o meglio di cercare una pietra tonda di fiume da usare su un tagliere), e cominciare a crearsi le proprie personalissime miscele di spezie!
Naturalmente, da non sottovalutare, oltre all’efficacia delle ricette e all’esaustività sull’argomento c’è anche  la filosofia di un cibo «buono fino in fondo», anche eticamente. O meglio l’idea che la nostra cucina, e un piccolo gesto come acquistare qualche grammo di spezie possa avere un significato profondo nell’economia globale. «La cucina» dice Valeria, «è un luogo sacro che, più di altri in casa, ci appartiene, fatta di tutti quei gesti, accessori, colori e stili, scelte che riflettono la nostra personalità. In cucina sperimentiamo e non mettiamo mai radici, impariamo a innovare la tradizione e andiamo incontro al mondo. Scegliere, in cucina, significa non solo essere consumatori, ma essere consapevoli di cosa sta al di là del nostro atto d’acquisto».
La mia ricetta preferita: Pizza Za’Hatar (qui la ricetta).



Allan Bay, Cuochi si diventa 1+2.

Di lui mi piacciono smodatamente la cultura (enogastronomica e non), l’amore per i viaggi, la scrittura, l’ironia leggerissima e acuta, e la capacità di spiegare con grazia qualunque piatto, qualunque preparazione. Non si prende mai troppo sul serio, eppure riesce a raccontarti tutto quello che ha assaggiato, cucinato, mitizzato in ogni parte del mondo. Diciamola tutta, non è terribilmente autoironico uno si mette a scrivere un serissimo decalogo con le virtù per diventare bravi cuochi invocando nell’ordine : 1 l’amore per il buon cibo, e la convivialità 2 la pazienza per la ricerca delle materie prime, 3 lo studio della ricetta 4 le basi perfette 5 la bilancia 6 la calma 7 l’umiltà 8 un buon assemblaggio 9 tagli precisi e cotture veloci 10 il tradimento sistematico di ogni ricetta perfetta??? Io credo che Allan Bay susciti estremismi, nel senso che, o lo si ama, o lo si detesta profondamente. State dalla parte che volete, ma sappiate che le sue ricette sono una garanzia (chiare, dirette e senza fronzoli)...e, oltre a dilettarsi con libri e articoli di cucina, cura anche una bella collana per Ponte alla Grazie (“il lettore goloso”), testi interessantissimi (tutti rigorosamente senza immagini)...una goduria (almeno per me).
La mia ricetta preferita: Brodo di Sassi & Ravioli Cinesi di Verdure.



Mangiare di Stagione. 1.000 ricette delle osterie d’Italia

Sono quattro libricini, ma è come se fossero un solo volume perchè sono in un cofanetto. Costano 25 euro, ma da Eataly li trovate tutti e 4 a 10 euro (oppure in una comoda App che costa ancora meno). La divisione per stagioni è bellissima, e molto molto comoda (così almeno non ti fissi su una fantastica torta di fragole a novembre). Non ci sono fotografie, sono stampati su carta riciclata, e le ricette sono tendenzialmente quelle della tradizione regionale italiana (dei tempi moderni però). Arrivano direttamente dalle Osterie d’Italia, per cui c’è l’oste chiacchierone, che svela volentieri i suoi segreti, e quello tutto sulle sue, che non spiega neanche i procedimenti base. Poi c’è quello infastidito, quello che ti racconta il passato il presente e il futuro della ricetta dalle origini alle sue personali innovazioni, e c’è anche quello che copia da altri come se niente fosse. Insomma, considerate che non è un libro scritto da un unico autore, ma c’è una variegata e curiosa provenienza delle ricette (variegata e curiosa tanto quanto lo è la gastronomia italiana). Ottima lettura, e nonostante questa pluralità di voci, le ricette provate sono sempre riuscite bene.
La mia ricetta preferita: Torta di Ramassin (Estate).



Manuela Vanni, Fatto in Casa, come produrre quello che mangiamo.
Subito dopo la passione per la cucina c’è quella di preparasi in casa tutto (o quasi) quel che di solito siamo abituati a comprare già pronto. Manuela Vanni è la maestra ideale per fare questo passo in avanti: competente, curiosa, chiarissima nelle spiegazioni e soprattutto infaticabile (ha provato a fare in casa davvero tutto quel che potete immaginare, comprese preparazioni dell’Oriente estremo).
“Il desiderio di farsi le cose in casa è un’estensione naturale della passione per la cucina. Può essere un piacere connaturato al vostro DNA, dopo generazioni di nonne e mamme provette cuciniere, oppure può cogliervi di sorpresa quando meno ve lo aspettate, magari dopo aver assaporato un pane appena sfornato da voi. Sono cose che capitano quando si compra per curiosità della pasta di pane già pronta al supermercato, sappiatelo. Una volta imparato a cuocerla al meglio, passerete alla fase due: prepararsi direttamente in casa il pane partendo dai suoi ingredienti base. Ormai contagiati dal fuoco del fare da sé, in breve tenterete nuovi impasti, cercando poi anche qualcosa che possa accompagnarli degnamente. A questo punto per arrivare a farsi da soli le confetture e, perché no, anche i formaggi o i salumi il passo è breve. Superato il « punto di non ritorno », scoprirete quante preparazioni casalinghe sono alla vostra portata”. E sarete davvero inarrestabili...
La mia ricetta preferita: Aceto al Miele e Pepe rosa & Confettura di Cipolle Rosse di Tropea (qui la ricetta della confettura).



Giovanni Goria, Cucina del Piemonte collinare e vignaiolo.

Posso cucinare qualunque cosa mi salti in mente, mescolare profumi e sapori da ogni parte del mondo, ma come ogni viaggio la cucina è fatta di grandi partenze, e grandi ritorni. Per cui, di tanto in tanto si torna a casa: “Cucina del Piemonte collinare e vignaiolo” di Giovanni Goria. Questo, cari amici, non è un libro qualsiasi, è il libro di quel Piemonte ricco, opulento e felice che una ventina di anni fa si poteva incontrare nell’astigiano. Forse, e non esagero, il più bel libro di cucina piemontese che sia mai stato scritto, autentico, originale, classico e innovativo. Leggendolo, vi troverete le dita unte di burro, sentirete sfrigolare cipolle bionde in un battuto di lardo...e vi assicuro, vi verrà l’acquolina in bocca (per essere precisi è un libro che non ha bisogno delle foto dei piatti, uno di quei libri che va letto prima di tutto con curiosità “sociologica”, e poi, solo dopo, per le ricette)! Il segreto per una convivenza felice ai fornelli con il bizzarro Signor Goria è solo uno: ridimensionare in maniera energica l’uso dei condimenti di cui l’amabile astigiano abusa quasi sempre. Detto questo avrete sarete grandi amici e avrete grandi soddisfazioni... (l’abbondanza di aggettivi è d’obbligo, e capirete perchè...).
La mia ricetta preferita: Intingolo del Vignaiolo.

(qui la ricetta dell'Insalata monferrina di fagioli dall'occhio).


Maria Grazia Accorsi, Personaggi letterari a tavola e in cucina. Dal giovane Werther a Sal Paradiso

Maria Grazia Accorsi è stata Professore ordinario di Letteratura Italiana. Diciamo pure che il taglio critico da studiosa delle lettere si ritrova con grande piacere applicato alla ricerca della cucina nell’opera dei grandi autori della letteratura (aggiungerei moderna visto che comincia con Goethe e finisce con Kerouac). La cucina è intesa come il linguaggio specifico e personalissimo di ciascun autore: «ogni scrittore ha il suo linguaggio privato, il suo cosiddetto idioletto, e quindi avrà anche la sua “ideocucina” e utilizzerà questo speciale tipo di descrizione nella stessa accezione personale in cui impiega tutti gli altri strumenti e stilemi». E quindi giù a capofitto nell’analisi di passi in cui i personaggi, mangiano, cuociono, preparano, raccolgono, sognano o gustano...E fin qui non sarebbe altro che una bella ricerca (simile a quella critica letteraria per temi), se l’autrice non ci aggiungesse tutte le sue suggestioni, scoperte, ricette, curiosità, tradizioni, memorie. I pasti consumati, nominati o preparati dai personaggi sono completati dalle conoscenze gastronomiche (vastissime) dell’autrice...che interrompe quel che diceva tale autore per raccontare a quale ricettario lei si affida dovendo riprodurre la farinata di Cime Tempestose, come ha provato a rifare i pasticci di Capitan Fracassa o quale torta di mele è più vicina a quella dei vagabondi di Sulla Strada. E la sua ricetta è lì, in poche righe, come scritta su un foglietto mentre al tavolo della cucina si chiacchiera di letteratura bevendo un caffè. Adorabile e godibilissimo.
La mia ricetta preferita: Cholermues, Sciaffusa, Apfel-Briosi, ovvero torte di mele dai cantoni Svizzeri, leggendo  “Enrico il verde” di Gottfried Keller.

2° Betulla Contest: "Una Ricetta dal mio Libro di Cucina Preferito"

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Cari amici...
come annunciato nei precedenti post libreschi oggi si aprono le danze sul mio secondo contest (sì, ci ho preso la mano). Dato che sono convinta che non siate tutti in vacanza, e che comunque l’estate, afosa o piovosa, porti buone letture ho pensato di trasformare la mia fissa per i cookbooks in un bel contest! Ditemi che non sono l’unica a tenermeli sul comodino, a ostinarmi su un piatto perchè la sua fotografia era deliziosa, o al contrario a mangiare cose strambe perchè «il libro era senza immagini e mi ero immaginata una cosa completamente diversa !». Cercate anche voi la stessa ricetta in dieci libri diversi solo così, per confondevi le idee quel tanto che basta per riuscire a fare una undicesima versione tutta vostra? Bene, se anche voi li studiate, li sfogliate, li correggete, li sporcate di farina e ditate di burro, raccontatemi del vostro preferito! Il libro di cucina migliore che avete, quello che regalereste col cuore, quello che vorreste conoscere l’autore per stringergli la mano, quello che non perde un colpo, quello che accende la vostra fantasia di foodblogger appassionate e curiose. Insomma datemi un buon consiglio di lettura food e una buona ricetta, potreste vincere il betullesco “Kit del buon lettore” composto ovviamente da un ottimo libro, (“Pasticceria di Base” di Matteo Berti, I libri di Alma-Plan -è piccino, ma stiamo parlando dell’Alma, e 120 pagine qui non sono bruscolini-), un segnalibro/righello, dei marcapagine semitrasparenti (in 6 colori), un evidenziatore verde, un pastello giallo, una matita HB/2, trattopen nero e blu, un micro-post it (5x3 cm), e un quadernetto “smelonato” (un po’a righe un po’a quadretti) per appuntarvi ricette e ideuzze.


E ora che sapete cosa si vince, passiamo alle regole del gioco:
1.Tra oggi 3 agosto e il 30 settembre 2014 (h. 24.00) pubblicate sul vostro blog una ricetta con foto tratta dal vostro libro di cucina preferito (indicate autore e titolo; la ricetta deve essere nuova di zecca fatta per l’occasione, non valgono ricette pubblicate in passato; deve trattarsi di un libro -in qualunque lingua- purchè il racconto sia in italiano, non sono ammesse le ricette di riviste, dispense, periodici). Raccontatemi il perchè e il percome è diventato il vostro libro di cucina preferito, e mi raccomando, se fate delle variazioni rispetto alla ricetta originale indicatele chiaramente (magari usando due colori).
2. Inserire il banner in fondo, in cima (da qualche parte) nel post.
3.Lasciare un commento a questo post con il link della vostra ricetta.
4.Se vi pare, e non lo siete già, diventate miei lettori fissi...e comunque seguaci, (amici, likers) o no, aspetto i vostri gustosi consigli!

N.B: il contest è riservato ai possessori di blog, il vincitore sarà comunicato nei giorni successivi alla scadenza del contest, il premio verrà spedito esclusivamente su territorio italiano!

“Si precisa che questo contest NON è un’iniziativa commerciale, che non ha altri sponsor che le tasche vuote del BetullaBlog e vuole costituire unicamente un incoraggiamento alla buona lettura, alla sana alimentazione e alla condivisione delle stesse”.

Cipolle Ripiene

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Una delle cose che mi piace di più della cucina è la capacità di trasformare le cose. Pensereste mai alle cipolle come ingrediente base per un menù delle feste? Io no, eppure, c’è un piatto in cui anche delle povere, pallide e piagnucolanti cipolle diventano un manicaretto indimenticabile. “Siule Piene”, ovvero, cipolle ripiene. Nelle zone montane del cuneese rappresentano il piatto della festa estiva per eccellenza (che sia il santo patrono da festeggiare in piazza, il ferragosto o un pellegrinaggio ai santuari di altura). Non c’è tavolata, tovaglia da pic nic o zaino da cui non salti fuori una bella teglia di cipolle ripiene. Involucro poverissimo per un ripieno ricco (indicativamente carne, formaggio e uova, altra verdura e a volte un poco di riso), che qualche volta finisce a testa in giù (in certe valli le cipolle sono riempite e poi capovolte nella teglia). Le varianti si sprecano... io vi propongo una versione senza riso e senza pane grattato, prendetelo come un buon suggerimento perché le cipolle estive dalla polpa bianchissima e soda, accolgono bene e profumano qualunque ripieno che la cuoca riesca a mettere insieme (tra avanzi e fantasia).

P.s: a proposito di fantasia...non dimenticatevi di partecipare al mio libresco contest!!!

Cipolle Ripiene

Ingredienti:
-6 cipolle bianche (circa 1 kgr)
-300 gr di macinata di bovino adulto
-200 gr di macinata di maiale o pasta di salsiccia
-40 gr di Parmigiano Reggiano grattugiato
-3 uova
-500 gr di spinaci freschi (o 250 gr di spinaci surgelati)
-olio extravergine di oliva, sale, un pizzico di pepe nero, 2 spicchi di aglio, prezzemolo tritato

Procedimento:
-Lavare e pelare le cipolle. Cuocerle in acqua bollente per 15/20 minuti.
-Lavare e mondare gli spinaci e sbollentarli per pochi minuti. Scolarli e poi strizzarli bene dall’acqua in eccesso (altrimenti renderanno troppo umido il ripieno), e, una volta freddi, tritarli finemente sul tagliere.
- Nel frattempo in una padella antiaderente scaldare tre cucchiaiate di olio e 2 spicchi di aglio. Cuocervi bene le due carni macinate fino ad avere una bella rosolatura.
-Una volta che le cipolle sono scolate e raffreddate tagliarle a metà e svuotarle degli anelli più interni. Mettete da parte circa 50 gr di questi anelli interni. Foderare una o due teglie (tipo lasagnera) con carta da forno e sistemarvi le mezze cipolle svuotate degli anelli interni. Qui regolatevi secondo i vostri gusti: le dosi del mio ripieno sono abbondanti per cui io non riempio semplicemente sei mezze cipolle, ma finisco sempre per farcire anche gli anellini più piccoli. Tritate su un tagliere i 50 gr di cipolle bollite che avete messo da parte .
- In una terrina preparate il ripieno mescolando la carne macinata (eliminate l’aglio) con il trito di cipolle bollite e quello di spinaci. Aggiungere il Parmigiano Reggiano e un poco di prezzemolo tritato. Unire le uova e mescolare bene. Aggiustare di sale e pepe. (A questo punto si potrebbe aggiungere pan grattato – per indurire un po’il ripieno- oppure pane raffermo bagnato nel latte, per ammorbidirlo; poi c’è chi unisce riso bollito, e chi insaporisce con mortadella). Accendere il forno e portarlo a 180° circa (ventilato).
- Con un cucchiaino farcire bene ogni cipolla. Anche qui ogni cuoca ha la sua variante: c’è chi riempie ogni cipolla e la copre con il suo cappello appuntito, chi lascia le cipolle senza coperchio, e chi, come me, guarda allo sostanza più che all’apparenza, per cui cerca di non sprecare né cipolle né ripieno: di solito finisco con una teglia di bellissime, e una di lillipuziane. Garantisco: sono tutte buone allo stesso modo. Quelle più “cicciotte” e belle diventano un secondo gustoso, mentre le piccine arretrano tra gli antipasti.

- Infornare le teglie e cuocere per circa 30 minuti. (Cuocendo la carne in padella non sono necessarie lunghe cotture in forno, così come non serve bagnare di brodo o di latte le cipolle, né coprire la teglia con carta alluminio). 


 Santuario della Madonna del Colletto, chiesetta della Valle Gesso (Alpi Marittime-Cuneo) a 1291 mt. slm. Ogni prima domenica di agosto vi si celebra la Madonna della Neve: per gli abitanti del vicino paese di Valdieri la festa è l'occasione per salire al santuario con un piccolo "pellegrinaggio" a piedi, e poi per fare bel pranzo al sacco... naturalmente a base di cipolle ripiene.

Une Petite Balade Parisienne: I. Libreria "Shakespeare & Co."

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(Questa foto è tratta da IoDonna-Corriere della Sera)
Agosto, tempo di viaggi, esplorazioni e sconfinamenti. Ragion per cui ho deciso di condurvi per mano in una "petite balade parisienne". Parigi naturalmente è una città, anzi è la città per eccellenza cangiante, multiforme e inafferrabile. Vivendoci mi sono convinta che probabilmente esiste una Parigi per ogni paio di occhi che la guardano. Ognuno riesce a vederci quel che vuole, o quel che cerca: la raffinatezza, il cioccolato, la storia, i bistrot, la cultura, i macarons, Napoleone, le luci notturne, il romanticismo, la rivoluzione, i topi del metrò, e anche il suo struggente cielo grigio... Un giorno mi sono chiesta: se dovessi accompagnare una persona a Parigi da dove comincerei per farle scoprire la città? Così è nata l’idea di queste piccole e betulliane istantanee parigine... tanto per chiacchierare di cose belle, di libri e di luoghi che amo...(per una simpatica guida easy di Parigi curiosate qui quella della cavoletta più famosa della blogosfera).
Allora, sapete da dove comincerei a svelare questa città? Molto semplicemente dal suo cuore, dal mitico kilometro zero, o meglio da una libreria che è proprio lì, nell’orbita di quel centro assoluto che è la stella di bronzo (Point Zero) 
incastonata ai piedi della cattedrale di Notre Dame de Paris (in riferimento a questa stella, considerata il centro della Francia, vengono calcolate tutte le distanze stradali francesi). Cattedrale e Île de la cité non hanno bisogno di presentazioni, ma avrebbe un senso conoscere Parigi proprio a partire dalla sua più celebre libreria straniera. Così, giusto per rendersi conto che la grandezza di questa città è soprattutto la sua capacità di essere sempre stata multiculturale, curiosa e aperta pur riuscendo a mantenere la sua orgogliosa e fiera identità. Dunque io ci sono inciampata per caso, attratta dai banchetti di libri e dal corvo in vetrina (sono il solito pollo, perchè in realtà è una libreria celeberrima, presente praticamente in tutte le guide e in un sacco di film su Parigi).

 Bhe, come dicevo, orgogliosa della mia “scoperta” me ne sono tornata a casa come se fossi riuscita ad aprire da sola la caverna di Alì Babà (Woody Allen non aveva ancora girato “Midnight in Paris”). Poi mi sono documentata meglio, e da allora ogni tanto “Shakespeare & Co.” torna nella mia vita, o io torno da lei (oltre naturalmente a consigliarla a tutti, ma proprio tutti quelli che passano a Parigi). Dunque “Shakespeare & Co.” è una libreria specializzata in letteratura anglofona fondata a Parigi nel 1951 sulla rive gauche della Senna (quartiere latino). Letteralmente stracolma di libri (sono ovunque nuovi ed usati!) è impregnata di grande letteratura (di qui sono passati tutti quegli autori che Geltrude Stein definì della"Generazione Perduta", gli scrittori cioè vissuti tra le due guerre e privati della giovinezza e dei loro sogni! -Hamingway, Joyce, Miller, Fitzgerald...).



 Ma soprattutto è un'utopia fiabesca di scale sgangherate, libri polverosi, e poltroncine di velluto rosso che vive nello spirito della frase scritta su uno dei suoi muri: "Be not inhospitable to strangers lest they be angels in disguise"(Non essere inospitale con gli stranieri, potrebbero essere angeli mascherati!). Oltre ad entrarci in cerca di libri da acquistare (cosa si va a fare in una libreria?) qui ci si può trovare un angolino comodo per leggere (è anche una Biblioteca), o mettersi a suonare un vecchio pianoforte, o disegnare... e non parliamo dell’adorabile "postazione creativa" dotata di macchina da scrivere a disposizione dei visitatori.




 Al piano superiore c’è una specie di "foresteria per scrittori"...o meglio il proprietario (George Withman), e oggi sua figlia Sylvia, ospitano volentieri chiunque chieda loro un letto in cambio di qualche ora al bancone del negozio, purchè dimostri di avere un progetto di scrittura!! Il tutto nella più estrema ed accogliente semplicità. Vi sembrerà strano, ma Parigi è comunque una grande città, quando la si vive quotidianamente (e tolto lo "sberluccichio" che vedono i turisti) ogni tanto si avverte lo stridore delle sue contraddizioni, e capita anche di sentirsi soli in una dimensione urbana magnifica, ma terribile e fagocitante. Ecco, quando mi è capitato di sentirmi così, di non sapere quale fosse esattamente il mio posto nel mondo, io me ne andavo per qualche ora da “Shakespeare & Co.”. Mi sentivo accolta. Era come tornare a casa, e non sto parlando di Italia, di nostalgia da spaghetti, burocrazia e politici da operetta (no, vi assicuro che queste sono tutte cose che hanno anche i francesi), sto parlando di un luogo dell’anima...uno spazio disordinato, ma con un suo percorso di classificazione, moderno e antico insieme, cosmopolita, generoso dei propri tesori nascosti, ospitale, curioso, in continuo movimento, profumato di legno e di carta, di te e di torte...e capace di conservare la memoria dei piccoli gesti degli sconosciuti!!(C'è un bellissimo muro tappezzato di frasi, e sorrisi di chi è passato di qui e ha voluto lasciare il proprio pensiero...). 
“Shakespeare & Co.” riesce sempre a farmi vedere le cose con un’altra prospettiva, a farmi arrivare sin lì, sulla soglia di un altro mondo, di un’altra avventura, di un altro libro, e di un altro modo di vivere. E a farmi tornare il sorriso. Ve ne parlo perché è un posto all’antica (pochi libri freschi di stampa e tanti classici di seconda e terza mano, nessun computer), di belle letture, di incontri e condivisioni, perché da qui vedrete Parigi in un altro modo, perché è impagabile comprarci un libro (che si incamminerà per il mondo con un bel timbro fatto al bancone), e poi (carissimi amici foodies) perché è proprio qui, che nel film Julie and Julia Julia Child va a cercare un libro di cucina francese scritto in inglese (il suo , di libro, doveva ancora essere scritto, anzi, era in cerca di solida ispirazione).
Sbirciate “Shakespeare & Co.” nelle mie foto, nelle pagine del suo sito ufficiale, nelle parole di chi la vive e la anima ogni giorno (intervista alla proprietaria Sylvia Whitman), e di chi non smette di innamorarsene. Ma se riuscite, dedicatele qualche ora del vostro prossimo soggiorno parigino, non ve ne pentirete!
Shakespeare and Company
37 rue de la Bûcherie
Paris, Ve
0143254093
Weekdays: 10 am- 11 pm
Weekends: 11 am-11pm
http://www.shakespeareandcompany.com/

Une Petite Balade Parisienne: II. 5 libri da comprare a Parigi (più uno da leggere prima di partire!).

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La foto è tratta da  questa recensione al libro Cuoche Ribelli.

Cari Amici,
la mia piccola passeggiata parigina prosegue con altre chiacchiere libresche...questa volta però parliamo di libri da portarsi a casa per nutrire di francesità la propria piccola, adorata libreria da cookbooks addict.
Dato che nello scorso post abbiamo chiacchierato del cento di Paris, vi consiglierei di cercarli in una delle inconfondibili librerie gialle “Gibert Jeune” di Rue Saint-Michel...hanno sia libri nuovi che libri usati (con fascetta gialla sul dorso con scritto occasion) a prezzi fantastici. E il reparto cucina toglie il fiato...
1. "Le Miam......issime. Toute la cuisine que j’aime en 800 recettes".Di Maguellonne Toussaint-Samat, 20 euro.
Dunque, partiamo dall’autrice Maguellonne Toussaint-Samat è una storica dell’alimentazione, che ha scritto due libri straordinari come l’Histoire naturelle et morale de la nourriture, e il dolcissimo Très belle et très exquise histoire des gâteaux et des friandises. Di cibo sa tutto, già, ma come se la cava in cucina una sapientissima storica? Bene, anzi benissimo. 800 ricette sono davvero tante, sono da sole una bibbia, la fotografia della Francia a tavola nel 2010 (senza trascurare la cucina regionale, le influenze etniche, le tradizioni e i grandi classici). Maguellon sarà una presenza fidata nella vostra cucina, un po’ amica, un po’ maestra, un po’ mamma. É saggia, precisa, curiosa, e indulgente. Non è uno di quegli autori che attraverso il suo libro vi trasmette IL VERBO della cucina. No, lei spiga le cose con chiarezza, ma l’attenzione più grande è verso la vostra creatività : il faut laisser l’élève libre de se mouvoir à sa manière et suivant sa nature pour parvenir au but qu’on lui a montré; quitte à venir à son secours s’il s’égare. Perchè la sua cucina non è mai un dovere, ma un entusiasmante divertimento, un vero piacere.

2."Le Larousse des dessert", Pierre Hermé, 35 euro.
I Larousse sono sempre una garanzia. Ma questo è davvero la colonna portante del mondo della “gastronomie sucrée”. L’aspetto pratico dei Larousse è ben presente...nel senso che il libro è una scuola, un crescendo che accompagna il debuttante, passo dopo passo verso i cieli più alti, difficili e golosi della pasticceria. Si comincia comunque dalle basi, anzi, 100 pagine (un libro nel libro), se ne vanno tutte per quelle preparazioni essenziali (Les pâtes- Les pâtes à biscuits et les meringues – Les crèmes et les mousses – Le sucre et le chocolat – Les ganaches- Les glaces, sorbets et granités – Les coulis, les sauces et le jus). Da qui in poi (e solo per fare tutto questo ci vorrà un annetto), vi si spalancherà un universo meraviglioso di torte, desserts e confiseries che vi farà girare la testa. Le ricette (circa 750) sono illustrate molto bene da foto-guida, e ogni settore ha una bella introduzione storica, interessante e godibilissima. Particolare attenzione è dedicata alla scelta del dolce, ovvero al come scegliere quale dessert offrire anche in relazione al menù offerto ai propri commensali (non è cosa da poco, visto che tante volte si fanno errori grossolani in questo senso). Che dire? Comprarlo a Parigi sarà un piacere ancora più dolce...

3. "Je sais cuisiner" di Ginette Mathiot, 6,60 euro.
Ogni epoca storica ha il suo libro di cucina. La prima metà del Novecento in Francia hanno avuto lei, Ginette. Diretta, spontanea e didattica, ha insegnato a cucinare a intere generazioni che grazie a lei hanno capito che il savoir-cuisiner equivale al bien-manger.Ovviamente il suo libro è un po’ retrò...ma io continuo a trovare adorabili e validissime le sue belle ricette. L’air du temps si respira unicamente nei consigli sull’igiene, sulla batteria di pentole e sui corollari in cucina...Come ho già scritto altrove mi fa sempre sorridere leggere che sarebbe meglio avere una pendola, ben visibile, appesa al muro della cucina per potersi rendere conto del tempo necessario alle cotture, alle preparazioni (siamo nel 1932, e questo è un consiglio modernissimo). Per il resto è come se il tempo non avesse scalfito questo piccolo libro, e le ricette di Ginette fossero lì per mandare avanti la solida tradizione di quella burrosa, francesissima cuisine familiale.

4. "Mes confitures" di Christine Ferber
Lei è la Fée indiscussa delle confetture. È una fata alsaziana, che ha fatto tesoro della tradizione famigliare nel campo della pasticceria, per innovare completamente il mondo appiccicoso e pieno di pectina delle marmellate. Scordatevi il metodo classico...Lei è rivoluzionaria, nella procedura (limoni bio, piccole dosi di frutta e una notte in frigorifero), e nei sapori (abbinamenti audaci o tradizionali, ma mai scontati). Passare al suo metodo è una vera conversione...non tornerete più indietro, anche perchè una fata compie incantesimi, e voi sarete completamente ammaliati da quel susseguirsi di vasetti con cui stagione dopo stagione riempirete la vostra dispensa. Ovviamente si trovano anche i vasetti fatti da lei...ma visto che la fata è generosa di buoni consigli, trucchi e segreti, perchè non imparali direttamente dal suo libro?
5."Sablés Maisons sucrés & salés"di Ilona Chovancova.
Non poteva mancare il libro-gadget. I francesi li adorano...le loro librerie erano piene di queste scatolette kit quando da noi certe cose si trovavano solo nei casalinghi più forniti. Ovviamente anche io non resisto. E se devo essere sincera ho comprato questa box unicamente per il fantastico set di empreintes con sopra rispettivamente Tour Eiffel, Arco di Trionfo e Sacro Cuore. Irresistibili...E in automatico il libretto è caduto nel dimenticatoio. Poi, dopo mesi, il librino è stato riscoperto e avidamente studiato, testato imburrato e infarinato. Escludendo il sablé rosso fuoco (con colorante) gli altri biscottini che sgusciano da queste pagine sono deliziosi.
(Il sito della casa editrice Marabout è una risorsa, curiosatelo e saccheggiatelo con gusto, merita una visita)!


"La cucina impudica"autore anonimo.
è presente anche nella raccolta "Cuoche Ribelli" sempre dell'editore DeriveApprodi.
Infine l’ultimo consiglio: un libro (in italiano), da leggere prima di partire per cogliere, prima ancora di arrivare quello spirito parigino che è un misto di raffinatezza, letteratura, erotismo e gourmandise. Ammesso che esista davvero una cucina afrodisiaca, o meglio, ammesso che ci siano alimenti con tali virtù, e non, piuttosto situazioni, persone e contesti, rimane la difficoltà oggettiva di parlarne. Cioè a me leggere di ostriche, asparagi e peperoncini (praticamente ogni cosa che in natura si elevi dal suolo con fusto lungo e dritto, oppure abbia forma accogliente e simil-vulva), cucinati in questo o quel modo, con annessa bottiglia di Champagne e candele fa sempre ridere. I consigli di seduzione in cucina mi danno quasi sempre l’impressione di artificio inutile, anzi di omologazione a un teatrino cinematografico che mette sempre la tavola come preludio del letto. Questo libro invece prende il tutto in un altro modo (altrimenti credo che neanche l’avrei aperto). “La cucina impudica”non vuole insegnare niente a nessuno, né cucina né sensualità , è pura letteratura. Il curatore racconta che si tratta di un diario anonimo trovato anni fa su una bancarella del Flohmarkt di Vienna: 96 pagine manoscritte datate Paris 1919/1931. Le ricette sono contornate da aneddoti, note e ricordi, e da questi si capisce che l’autrice, prima di essere un’ottima cuoca era una cocotteche ha spalancato tutte, ma proprio tutte le porte dei palazzi del piacere in una Parigi surrealista ( da Robert Desnos ad André Breton, a Dalí, senza trascurare Colette e Picasso, o attrici come Pola Negri e Theda Bara). Il colto pasticheletterario delle note svela un mondo dell'arte che si mescola a quello popolare dei bordelli e delle «gironde», le ragazze di vita che si scambiano mutandine, amanti e ricette con golosa semplicità. Nessuna diversità viene trascurata: dai riferimenti alla dolce Saffo, ai consigli gastronomici dedicati a «certi turisti inglesi dai gusti un po' particolari, che leggono Oscar Wilde e fanno passeggiate al chiaro di luna». Maliziosa ed esplicita (niente a cui Sex&City non ci abbia abituate, ma io mi imbarazzo lo stesso), la nostra Cocotte trasforma le sue memorie sentimentali e gastronomiche in un delizioso libro da alcova (che ci sia un letto o un tavolo da cucina è del tutto indifferente, l’importante è essere in due). Autentico o colto esercizio di stile, un riservato anonimato permette alla golosa Cocotte un piacere sicuramente più durevole e saziante del sesso e del cibo, quello della buona letteratura. Vedrete Parigi con altri occhi...

Per evitare che vi colga il dubbio che io stia chiudendo il blog di cucina per aprire una libreria riporto una ricetta tratta proprio da questo libro. In fondo non tutte le Madeleines sono di Proust.

Madeleines
A quel tempo ero invaghita di un giovane scrittore che mi aveva abbordato in rue Grenelle con un mazzo di violette in mano. Conosci Flaubert?, mi domandò. «Je cherche des parfums nouveaux, des fleurs plus larges, des plaisirs inéprouvés ».Il pittore mi diceva, l’estate ti rende bella. Io sorridevo, era l’amore.
Battete in una terrina, con una frusta, 15 uova freschissime insieme a 600 grammi di zucchero e le scorze grattugiate di tre limoni. Quando il composto colerà dal frustino lentamente come un nastro, liscio e omogeneo, uniteci 600 grammi di farina setacciata e un sospetto di noce moscata. Quindi, 500 gr di burro chiarificato e ammorbidito alla consistenza di una crema. […] Distribuitelo negli stampi che avrete anch’essi imburrato con questo burro chiarificato e poi infarinati. Cuocete in forno a calore medio fino a quando le madeleines non sono dorate. Sformatele subito e, appena raffreddate, sistematele in una scatola di metallo. Si manterranno per almeno un paio di settimane.

Preciso che questa ricetta non è stata testata nella cucina betulliana, ma vuole essere un piccolo assaggio del libro . La domanda fondamentale è: ma con addirittura 15 uova quante madeleines vengono fuori? Va bene mettersi a fare i biscotti, ma, se pur ben fornita, non ho proprio le teglie per tutte queste madeleines...Che volete farci, sarà che tutto questo amore metteva fame, e la Cocotte era abituata a intensi amori e numerosi amanti (dall’appetito abbondante)...

Buona lettura... e ricordatevi il mio contest!!!

Une Petite Balade Parisienne: III. Pausa Pranzo a "Le Bar à Soupes" con Crema di Carote al Latte di Cocco.

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Questa piccola passeggiata parigina prevede anche una pausa pranzo. Se cercate mete foodies naturalmente a Parigi avrete l’imbarazzo della scelta (compresa la malsana possibilità di pranzare in pasticceria a suon di macarons o éclairs)! Io però vi suggerisco un posto che può esistere solo in una grande città, un posto speciale, adorato da chi a Parigi ci vive, e ha bisogno di un pranzo veloce, sano e anche economico. Io credo che dia il meglio di sé in autunno, quando il cielo diventa basso e grigio, quando il clima continentale si fa sentire e quando a metà giornata c’è bisogno di una pausa corroborante. Sto parlando del giallissimo Bar à Soupes di Catherine Bley, che ogni mattina con verdura rigorosamente di stagione prepara ben sei zuppe differenti da servire ai suoi clienti. Circa una decina di anni fa Catherine, ispirata dalla variegata realtà newyorchese della ristorazione, ha deciso di cambiare completamente vita e lanciarsi nel progetto di un bizzarro Bar à Soupes. Il sogno ha impiegato tempo per diventare realtà, e alla fine, zuppa dopo zuppa, esperimento dopo esperimento Catherine ha aperto a Parigi il primo Bar à Soupes di Francia e, contemporaneamente, ha pubblicato il suo personale libro di zuppe (lo trovate in vendita anche nel bar). L’idea è semplice: il Bar à Soupes è un posto easy in cui si può magiare veramente bene, (anche per i vegetariani), e senza incappare nelle solite mollicce verdurine al vapore / insalatona mista. Ecco, la genialità dell’idea di Catherine è quella di rendere divertenti le verdure, di togliere alle zuppe quel senso di triste banalità con accostamenti inediti e sapori curiosi. Nelle zuppe di Catherine le verdure sorridono. Sorriderete anche voi dopo averle mangiate...

Bar à Soupes
33 rue Charonne
75011 Paris
(chiuso la domenica e il mese di agosto).
Le zuppe si possono anche portare via. Nel locale consigliatissima la degustazione di tre bicchierini di zuppe con panino da “grignoter” e piccolo dessert. A Parigi Catherine ha lanciato una vera moda, con tante, tantissime imitazioni della sua formula di pasto healthy e goloso. Da qualche anno esiste poi un festival dedicato completamente alle zuppe, con degustazioni, concorso e tazze fumanti: si chiama “Amoreusement Soupe”, e si tiene a Parigi in Place des Abbesses (quest’anno sarà l’8 novembre).
Se non conoscete il francese il libro “Bar à Soupes” si trova in italiano con il titolo “Zuppe à Porter” pubblicato da Guido Tomasi Editore (24 euro).


Carottes au lait de coco 
di Catherine Bley dal libro “Soupes du Jours” 
(Marabout 2003)

Ingredienti per 8 persone:
(20 minuti di preparazione - 30 minuti di cottura)
1,3 kg di carote
1,5 litri di acqua
3 belle cipolle novelle
1 cucchiaino di coriandolo in polvere*
1 cucchiaino di cumino in polvere*
1 cucchiaino di cannella in polvere*
20 cl di latte di cocco*
sale pepe
*Per me prodotti Altromercato
Procedimento:
Pelate e tagliate le carote a rondelle. Mettetele in una pentola riempita con acqua salata e dall’ebollizione fate cuocere circa 30 minuti a fuoco dolce. Bisogna che le carote diventino tenere.
Fuori dal fuoco aggiungete le spezie, le cipolle novelle crude tagliate a pezzetti e il latte di cocco. Mixate finemente e aggiustate il condimento.
Idee:questa zuppa è deliziosa anche servita fredda.
Note: in primavera con cipolle novelle. Tutto l’anno: sostituite le cipolle novelle con due grosse cipolle. In questo caso, dopo averle tagliate, fatele rinvenire in un poco di olio d’oliva con le spezie prima di aggiungerle alle carote.


P.s: per chi è appena rientrato dalle vacanze, ricordatevi il mio contest di libri e ricette!!!

Une Petite Balade Parisienne: IV. Liste des Courses (6 cose da comprare a Parigi!)

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La passeggiata parigina ovviamente prevede anche acquisti che non siano libri. Non sto parlando di shopping sfrenato alle Galeries Lafayette. Cioè, se potete andarci a fare acquisti (e non solo ad ammirarne la cupola) buon per voi. Nel caso io non vi servirò a niente, perchè oggi vi consiglio quelle 5 o 6 cosette che magari lì per lì neanche vi viene in mente di comprare, ma che una volta a casa vi faranno sentire moolto foodies, e incredibilmente furbi. Sono micro acquisti, cioè costano pochi euro, e non sono ingombranti (quindi potrete infilarle all’ultimo nel bagaglio a mano vostro o di chi viaggia con voi -surprise-). Si tratta di acquisti intelligenti (più o meno), nel senso che sono tutte cose che non si trovano facilmente in Italia. Infine, non si comprano nei negozi di ricordini e chincaglieria, ma in quelli della vita quotidiana dei francesi (grande distribuzione o mini market e alimentari), e per come la penso io, possono essere un souvenir ancora più gradito che il classico porta chiavi-Tour Eiffel glitterata (tho, se proprio volete fare gli originali abbinateli)! Allora cominciamo?


1. Sel au Céleri, Ducros, 2,60 euro circa.


Partiamo dalle spezie. Io ho una vera dipendenza da questo barattolino di Sel au Céleri. Non posso vivere senza. Lo adoro, più del gomasio, più di qualunque sale -maldon- rosa- bretone e vattelapesca..... La Ducros c’è anche in Italia, lo so. Ma qui non commercializzano questo sale. Attenti, non si tratta di sale al sedano, come potreste credere dal nome. No, è sale mescolato a semi di sedano macinati. Il risultato è incredibilmente più aromatico. Certo deve piacervi il sedano. Se vi piace sarà un grande amore, uno di quelli come il film Pretty Woman che quando Rai Uno, Rai Due e Rai Tre non sanno come riempire il palinsesto ti mettono in prima serata il polpettone d’amore evergreen. Ecco, questo sale è così, adorabile quando avete lucidità e coscienza (su carni bianche pesce e formaggi), e salvifico in caso di fretta sciamannata e ottenebramento mentale (fettina di pollo = banalità; fettina di pollo con sale al sedano = curiosità gustosissima). Io l’ho scoperto ad un aperitivo. Il Sel au Céleri era cosparso su dadini di Emmental. Bhe, riusciva a renderli speciali. Da quel giorno non l’ho più abbandonato!

Ancora una cosa...il sito della Ducros, oltre ad un grillo-cicala che frinisce ad ogni movimento del mouse, è zeppo di belle ricette... Consiglio una curiosata.



2. Quatre épices & Mélange per Pain d’épices, Albert Ménès, 4,50 euro circa.


Altre spezie. Questa volta vi dico subito che non sono indispensabili. Però l’estetica distruggerà ogni vostra remora. Per cui io vi consiglio spassionatamente gli adorabili barattolini Albert Ménès contenenti le Quatre épices oppure il Mélange Pour Pain d’épices. -Chi non vorrebbe una mensola di una rustica cucina di campagna con tutto l’assortimento???- Divago, torniamo alle Quatre épices, che poi sono un misto di pepe nero, noce moscata, chiodi di garofano e cannella. Perfetto per brodi di bovino e di pollo, moolto “orientale” nelle polpette di carne e frutta secca, speciale nei dolci. Un esempio? Fare il mitico quattre-quarts mescolando allo zucchero un cucchiaino di queste spezie lo renderà magico!!! Lo scalino successivo è il Mélange per Pain d’épices, che è fatto di fatto di cannella, chiodi di garofano, noce moscata, pepe nero, macis, cardamomo, zenzero. Serve, appunto, per preparare il Pain d’épices, che è un delizioso mattoncino marrone (molto natalizio e molto alsaziano) profumato di spezie e di miele. La sua origine si perde nella notte dei tempi, e la sua storia è contesa tra città e fabbricanti che ne rivendicano paternità e sostanziali differenze (farine, forme...). Vi dico come la penso: è un dolce molto buono, nutriente, ma leggero. Punto. Potete farlo in mille modi diversi. L’essenziale è l’unione delle spezie con il miele. Nella mia vita parigina ho smesso di sentirlo come natalizio e come alsaziano. Per me è un sapore incredibilmente francese. Certo che è essenziale avere il Mélange. In caso di necessità ci si può aggiustare bene anche unendo un poco di zenzero in polvere alle Quatre épices. Ho detto tutto? No, dimenticavo di raccontarvi che ho mangiato anche un gelato al gusto Pain d’épices, ma che alla fine il lato oscuro di questo dolce è quello che mi ha convinto di più. Sto parlando dell’abbinamento perfetto con il salato. Già il Mélange di spezie si adatta alle terrine di carne, alle sfoglie burrose e ripiene da pranzo delle feste (un po’ come le spezie della bustina LaSaporita nel ripieno di tortellini e ravioli), ma ilPain vero e proprio è l’ideale per tartine con formaggio di capra o foie-gras!

Se vi ho fatto venire voglia di prepararlo ecco 3 idee:



* Per chi non sa il francese ecco la ricetta di David Lebovitz in inglese.


3.Paillettes Gavottes, 150 g, da 2,85 euro a 3,80 euro circa.


Parigi luccica. Di notte e di giorno. Impossibile non tornare a casa con qualche sbuffo di Paillettes nei capelli. Sì, però io sono una foodblogger, e le uniche paillettes che mi fanno girare la testa sono le Gavottes. Altro prodotto in barattolo (è una mania), e altro prodotto tipico regionale che nel mio immaginario ha fatto il salto nel grande insieme della francesità tout court. Avete presente la mitica crêpes dentelle bretone arrotolata e piegata in quattro. Bhe, a parte che, essendo nata da un errore (una crêpes troppo cotta) mi è simpaticissima! A parte che è un dolcetto buonissimo in tutte le sue varianti (cioccolato al latte, fondente...)...Queste bricioline croustillantes sono meravigliose. Leggerissime e croccanti come decorazione di qualunque dessert al cucchiaio, vi faranno innamorare come base per Cheese-Cake o Tartellette. Perchè vi consiglio di comprare direttamente le Paillettes e non una scatola di Gavottes? Perchè sono troppo buone, e fidatevi, non avrete mai il coraggio di frantumarle a sangue freddo!



4. Thé Blanc parfumé, Gourmet Monoprix, 20 sachet Cristal, 4,42 euro.


Tutta Parigi è cosparsa di Monoprix. Che sono una catena di mini, medi o mega market in cui bene o male trovate un po’ di tutto. Merita entrarci per due motivi. Il primo è stupidissimo: ogni tanto la radio in diffusione nel negozio è interrotta da una voce femminile che dice « Monoprix, on fait quoi pour vous aujourd’hui? ». Bene, 13 anni di francese, lettorati in lingua, film, canzoni e amici francesi, ma nessuno, giuro mai nessuno ha pronunciato in mia presenza un “aujourd’hui” con annesso sputacchio tanto perfetto come quella soave vocina del Monoprix. La dizione è importante, e se volete una lezione esemplare per tornare a casa con almeno una parola francese pronunciata correttamente andate al Monoprix e, almeno saprete direa modo un concretissimo «Oggi». Secondo motivo di visita in un Monop (-rix non è rimasto nella tastiera, ma loro abbreviano...e ogni tanto scappa anche a me), è la linea a marchio Gourmet. Si tratta di prodotti d’eccellenza, per cui sfogatevi senza ritegno, i prezzi sono abbordabili (almeno in confronto a certi negozietti di specialità eccessivamente cari ed eccessivamente turistici) e farete ottimi acquisti. Tra tutto quello che vi posso consigliare c’è un buonissimo tè bianco aromatizzato ai frutti e ai petali di fiori in sacchettini piramidali di organza. Io non l’avrei mai assaggiato, se il mio padrone di casa non l’avesse lasciato sul tavolo dell’appartamento come “petit cadeaux” di benvenuto a Parigi. É davvero originale e delicato. Per me è il profumo della gentilezza e dei piccoli gesti. Da bere alla faccia di tutti quelli che dicono che i parigini sono inospitali, scontrosi e burberi!



5. Imbuto/Caffettiera, tra i 7 e i 10 euro + 80/100 filtres à Café in carta, 4 euro circa.


Nota dolente. Il caffè dei francesi. O su via. Non sarete mica di quei piagnoni che vanno all’estero, si ostinano a cercare di bere caffè espresso e poi tornano in patria tronfi e convinti di essere -in quanto italiani- gli unici depositari nel mondo del vero caffè?? Considerate che non vi ho raccontato di aver trovato una Bialetti nuova fiammante sul tavolo di casa accanto al tè bianco; detto che cercando bene, il caffè espresso lo sanno fare benissimo anche i francesi, arriviamo alla nostra fantastica caffettiera. Lo so, fa impressione chiamare così un imbutone di plastica. Resistete e capirete il suo perchè nel mondo. Dunque, il caffè si può fare anche così, ovvero facendo percolare acqua calda in un filtro di carta di forma conica in cui avete messo qualche cucchiaio di caffè macinato. La vostra caffeinomane italianità scalpita...resistete ancora! Non ho mai detto che si debba bere questa bontà. Semplicemente, se siete anche voi produttori compulsivi di liquorini e spiriti questa è una grande occasione. I liquori, o meglio, le infusioni di erbe fiori frutta in alcool, alla fin fine sono sempre da filtrare. Questo passaggio è delicato. Imbuti, stracci, carta assorbente finiscono sempre per rovesciarsi, imbibirsi troppo o trasmettere odori. Il furbissimo suggerimento è di comprarsi uno di questi favolosi imbutoni da caffè (notate la base allargata) e una scatola di filtri di carta! Avrete un sistema di filtraggio liquori economicissimo e molto pratico. Durerà anni e anni. Unica precisazione: attenti a comprare filtri di carta neutri -magari anche écolò, cioè in carta riciclata- ma non quelli aromatizzati. Sì, esiste anche questa somma schifezza. Cioè il filtro di carta con aromi "chimicissimi" che consente di fare il caffè senza caffè, solo con acqua calda! Geniale vero? Diamoci ai liquori ad alte gradazioni che è meglio!



6. Rompi Guscio per uova à la coque, 3 o 4 euro.


Infine non poteva mancare un gadget assolutamente inutile. Vi assicuro che questo è il più incredibilmente inutile di tutti quelli che possiedo, di tutte le case/cucine in cui bazzico, e di tutte le cavolate che la gente compra e pubblica su Fb tanto per esporsi un po’ di più. Peggio di questo ci sono solo la forbice per rompere le uova, e quella per fare le polpette (ma chi ha inventato questo abominio di complicazione??). Torniamo a noi e a l’ acquisto parigino che meglio si abbina alla micro Tour Eiffel glitterata. Dato che, come insegna il film “Le donne del sesto piano”, esistono persone che ogni mattina mangiano il loro bravo ovetto à la coque per colazione, deve esserci il modo per rompere con precisione millimetrica il guscio e poter servire quotidianamente un uovo perfetto. Ecco, il modo è questo aggeggio, che a me sembra un raffinato mélange tra una tagliola da bracconiere e una cintura medievale di castità. Ciò non mi ha impedito di acquistarlo e di andarne fiera, anzi incredibilmente orgogliosa. Salvo poi constatarne l’inutilità, perché in quelle rare volte in cui a casa Betulla si fanno cotture di uova con guscio, ci si dimentica di avere nell’arsenale tale prezioso aggeggio. Regalatelo ad amici e pareti, solo per vedere la faccia a punto interrogativo mentre ringraziano e non sanno cosa diavolo hanno tra le mani!


Allora che ne dite? Vi è piaciuta la mia lista di courses?









Dado Veg Granulare (con doppia cottura -Pentola e Forno-) senza essicatore

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La dolce metà sostiene che in questa bizzarra estate io abbia cercato di sganciarmi da quasi tutte le schiavitù possibili (e immaginabili) che incombono su ogni massaia moderna (dallo lievito alle marmellate, dalla crema idratante, al gelato, all’aceto...). Forse un po’ ha ragione nel prendere in giro questa mia inesauribile vena Home Made...ma vuoi mettere la soddisfazione??? Comunque, tra tutte le manie del fatto in casa quella più vecchia è la fissa per il dado vegetale. Dopo innumerevoli (davvero taanti) tentativi sono giunta alla MIO prodotto ideale (verdure nell’essiccatore poi frantumate -qui la ricetta-). Quest’anno però l’orticello montanaro è in iper produzione, per cui, mentre una carriola di verdurine si raggrinziva amabilmente nell’essiccatore come certe signore color cuoio sulla spiaggia, io ho pensato bene di sfruttare questa abbondanza e provare un altro procedimento. L’obiettivo era sempre un dado granulare vegetale, fatto però in tempi più ristretti e a partire dalle verdure cotte. Devo dire che il risultato ottenuto è molto convincente, l’unica pecca è che, mentre l’essiccatore può essere messo sul balcone (a spargere i suoi meravigliosi effluvi nel mondo), con questa ricetta avete bisogno di fornello e forno. Insomma, fatelo in un giorno in cui non avete invitato la regina Elisabetta per il té, rischierebbe di chiedervi se avete messo il minestrone anche nella teiera!
P.s: in rete ho letto di alcune persone molto scettiche sulla doppia cottura (pentola e forno) del dado per la perdita dei nutrimenti della verdura fresca! Sinceramente alla fine credo che l’importante sia riuscire ad auto prodursi un dado sano senza additivi e conservanti (privo soprattutto del famigerato glutammato), e dal buon sapore...perché data la quantità minima di dado che si utilizza nell’alimentazione quotidiana forse è un po’ troppo pretendere anche che apporti le vitamine e i sali minerali di un centrifugato di verdure fresche no?
P.p.s:nonostante l’ironia sulla mania dell’home made tenete conto che preparare in casa un buon dado vegetale è una procedura lunghetta, laboriosa, e tutto sommato abbastanza costosa. Insomma, ha un senso se avete delle verdure in eccedenza, a costo zero e bio (se avete cioè a disposizione un orto, o un mercato generale dai prezzi stracciati), perchè a conti fatti (benchè l’economia non abbia mai un buon sapore) è antieconomico dovere comprare tutti gli ingredienti biologici e poi passare ancora mezza giornata in cucina con il forno acceso per un piccolo barattolino di dado pur buonissimo!
 
Dado Veg Granulare 
detto anche "Fiore d'Agosto"

Ingredienti:
1.250 gr di verdure bio (proporzioni variabili tra: sedano, carote, cipolle, pomodori, zucchine, fagiolini, coste, bieta erbetta, spinaci, aglio, prezzemolo, basilico)
400 gr di sale marino grosso
4 cucchiai di olio extravergine di oliva
-In pratica la mia regola è 3 parti di verdure crude per 1 di sale!
Procedimento:
Questo dado si chiama fiore d’agosto (anche se siamo a settembre) proprio perchè è il meglio del vostro orto (o verduriere di fiducia) trasformato in dado per i mesi in cui, appunto, non ci sarà tutta questa meravigliosa abbondanza. Inutile quindi sottolineare la necessità di scegliere solo le verdure migliori, sane croccanti e colorate! Le proporzioni tra gli ortaggi sinceramente sono molto personali. Regolatevi secondo i vostri gusti e secondo quello che avete a disposizione. Diciamo che la base è fatta da sedano, carote e cipolle (o scalogno o porri) e tutto il resto è un di più. Io consiglio però di non abbondare in pomodori perché sono molto acquosi, e perché rischiereste di trovarvi una specie di sugo di pomodoro alle verdure al posto del dado (in ogni caso private i pomodori dei semi e della buccia). Allo stesso modo non abbondate con le verdure verdi a foglia larga. Regolatevi anche con il colore del trito di verdure, che, se cromaticamente sarà armonioso, lo diventerà anche nel sapore. Inoltre io uso l’aglio nella parte iniziale del procedimento, poi lo rimuovo. Così facendo il dado ha l’aroma dell’aglio, ma non la sua fastidiosa (e per alcuni indigesta) presenza.
Detto questo mondate le verdure, lavatele e asciugatele con cura. Tritatele tutte molto finemente: prima dividete le verdure in pezzi grossolani su un tagliere, poi usate un robot da cucina.
In una casseruola o una padella molto larga e antiaderente scaldate 4 cucchiai d’olio extravergine di oliva e 3 spicchi di aglio (privato dell’anima). Quando l’olio sarà caldo rovesciarvi il trito di verdure e fare stufare lentamente rimestando con un forchettone di legno. Le verdure dovranno asciugarsi, e saranno necessari circa 25/30 minuti a fuoco medio. A questo punto eliminate con una forchetta gli spicchi di aglio, poi aggiungete il sale grosso nella pentola. Questo farà fuoriuscire altra acqua dalle verdure. Fatele asciugare bene -sempre rimestando- per altri 10 minuti.
Togliete il composto dal fuoco e stendetelo uniformemente su una teglia da pizza coperta di carta antiaderente (più lo stendete sottile più asciugherà in fretta, eventualmente usate due teglie). Cuocete in forno a 100° (ventilato) per circa un’ora. Ogni 20 minuti togliete la teglia dal forno, e con i rebbi di una forchetta rompete la crosta che si è formata durante la cottura. Dal colore diverso vedrete chiaramente le parti che si stanno asciugando e quelle che sono ancora umide. Alla fine otterrete una specie di gossolano“crumble” di verdure e sale (deve essere ben asciutto). Fatelo riposare per una notte (o comunque per 12 ore), infine frullate questo “crumble” con un robot da cucina fino ad avere la granulosità che desiderate. Il dado è pronto! Riponetelo in vasetti con tappo a vite, etichettate e conservate in luogo fresco e scuro. Dura circa un anno e si utilizza come un comune dado granulare. Ovviamente ricordate di non salare le preparazioni quando lo usate!

Pan Gallego

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Settembre ha il colore dei semi oleosi. Io nella mia testa ho un colore per ogni parola. Visualizzo il colore mentre pronuncio le parole, mentre le penso, o ancora meglio mentre scrivo. Se qualcuno potesse sbirciare i miei pensieri vedrebbe catenelle colorate di parole, tipo le pagine dei diari delle bambine di 7 anni, quando scoprono quell’assurda penna che al suo interno contiene ben dieci inchiostri di colori differenti e per di più profumati. É come se io non avessi mai smesso di usare quella penna -traumi degli anni ‘90- d’altronde sono passati 25 anni ma non hanno ancora smesso di produrla!).
Nella penna vera il color seme oleoso non c’è! Ma nella mia immaginazione i semi di girasole, di zucca, di lino e di sesamo, si mescolano per fare il color Settembre...e poi li impasto nel pane.

P.s: consapevole che “Pane Gallego” è una delle definizioni più generali e vaghe che si possano usare (fate un giro qui per vedere quanti pani tradizionali in realtà esistono in Galizia), mantengo questo titolo per fedeltà alla ricetta betullamente tradita per fare questo pane (ispirata da “Il Pane Fatto in Casa” di Christine Ingram e Jennie Shapter, DIX editore, 2010). A proposito...mancano 5 giorni alla fine del mio contest a base di libri: non perdetevelo!

Pan Gallego
Ingredienti:
-350 gr di farina 00 (+ quella per la spianatoia)
-100 gr di farina di grano duro
-270 ml di acqua tiepida
-30 ml di olio extravergine di oliva
-30 gr di semi di zucca
-30 gr di semi di girasole
-15 gr di miglio
-10 gr di sale
-7 gr di lievito di birra secco attivo (disidratato)
-1 cucchiaino di miele millefiori
-farina di mais per spolverare la pagnotta

Procedimento:
-In una ciotolina mescolate l’acqua tiepida, il miele, lievito disidratato e olio . Fate riposare il composto il tempo necessario perché il lievito si attivi (comparirà una schiuma sulla superficie). A parte, in un’altra ciotola setacciate la farina e mescolate il sale. Fate un buco al centro della farina e unitevi il composto di acqua e lievito e cominciate a mescolare con una forchetta . Non appena l’impasto avrà un po’ di consistenza trasferitelo sulla spianatoia infarinata e impastatelo ancora per una decina di minuti. Mettete la palla di impasto a riposare in una terrina unta sotto a un canovaccio in un luogo tiepido. Dopo circa un’ora di lievitazione mettete l’impasto sulla spianatoia e unite al centro i semi di zucca, di girasole e il miglio. Date all’impasto la forma di una pagnottella tonda e segnate la sommità affondando quattro dita nella pasta e poi ruotandole di un quarto. In questo modo si creerà il tipico “cappellino” a stella del pan gallego.
 Spolverate la pagnottella con della farina di mais (fioretto) e riponetela di nuovo in un luogo tiepido a riposare per un’altra oretta. Nel frattempo mettete in forno, sulla griglia inferiore, una teglia tipo lasagnera. Poi accendete il forno e portatelo a 220° circa. Al momento di infornare il pane rovesciate nella teglia due bicchieri di acqua fredda. Cuocete il pane per 25/30 minuti circa. Quando sarà ben dorato, e la sua base suona vuota se percossa con le nocche, trasferitelo su una griglia a raffreddare.

Vince il 2°Betulla contest...

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Eccomi finalmente ad annunciare il nome del vincitore di questo mio piccolo contest libresco e mangereccio che ci ha accompagnati tra l’estate e l’autunno. Taarataatatataaaa: vince la partecipante N.12, ovvero Sara del blog Pixelicius con la sua“Insalata bulgur all’arancia,con Polpo, sedano e olive taggiasche” direttamente ispirata dal “Polpo Barocco” del "Libro del Cavolo" (della celeberrima Sigrid Verbert, Cibele edizioni). Inutile dirvi che decidere è stato molto molto faticoso, sia perché questa volta non avevo un super Gran Giurì (cioè la Ross) a cui passare la “patata bollente” della scelta finale, sia perchè, la mia rosa di finalisti scendeva appena appena a 13 possibili vincitori (e capite che su 23 partecipanti è un po’ miserella come scrematura). Per riuscire a tirar fuori un solo nome dal cilindro mi sembra giusto spiegarvi che ho attivato un validissimo “Team di valutazione”, e cioè ho obbligato due miei fidi collaboratori a immergersi, loro malgrado, nel mondo dei libri di cucina. Totalmente esterni alla blogosfera i due hanno letto con attenzione ogni ricetta, ne hanno valutato la fattibilità, l’aspetto e l’aderenza al tema, per poi stilare, l’uno all’insaputa dell’altra una lista di tre nominativi. A questa lista ho aggiunto la mia classifica personale (l’ago della bilancia ;-). E la ricetta che è comparsa in tutti e tre gli elenchi è proprio quella di Pixelicius. Insomma Sara, oltre al premio, penso tu possa dirti soddisfatta di sapere che la tua ricetta è sembrata curiosa, appetitosa e stuzzicante anche a due persone che non si ingarbugliano quotidianamente nel piccolo grande mondo dei foodblogger, pur essendo golosi gourmet, e simpatici cuochi della domenica!!! (Scrivimi in privato il tuo indirizzo, così provvederò alla spedizione del premio!). Quindi, grazie al mio prezioso Team, che dopo una tiepida partenza si è letteralmente appassionato e speso per la causa. Anche se ora vivo sotto minaccia di vedermi aprire un blog gemello chiamato “Torte di Fango”, è stato molto divertente avervi accanto in questa avventura (e constatare che c’è un avido Raspelli in ognuno di noi, anche dentro un grafico e un architetto). Infine, Grazie ai partecipanti! Siete stati tutti fenomenali, e non lo dico per gentilezza, ma per farvi capire che apprezzo davvero l' aver spadellato, fotografato e scritto qualcosa di voi per questo gioco. “Partecipare” è condividere...per questo grazie di cuore a tutti: a chi mi ha regalato il suo tempo pur senza averne, a chi mi ha fatto venir voglia di provare qualcosa di nuovo (un cereale, o una tecnica), a chi mi ha fatto credere in una fiaba biscottata, a chi mi ha fatto camminare sui tetti di Parigi, a chi mi ha fatto sentire il profumo della torta di mele, a chi mi ha portata in oriente, a chi mi indicato dove trovare i mini-marshmallow, a chi mi ha fatto correre in libreria, a chi ha partecipato per piacere, perché il libro in palio l’aveva già! Grazie per ogni libro di cucina aperto, letto, riletto, infarinato, sporcato e testato per me! Un abbraccio...alla prossima...
vostra Betullina

Cipolline borrettane all'agretto di melograno

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Cipolla luminosa ampolla scriveva Neruda nella sua famosa Ode. E io, appena al primo verso, già mi perdo a fantasticare e a chiedermi se l’ampolla è piena di lacrime o di sapore. Tutte due? Eh sì, ma credo che le lacrime siano il pegno necessario per conquistare il suo gusto delicatissimo...un po’ come le spine con le rose. E poi sapete cosa vi dico? Che possono raccontarcela in mille modi, trucchi e trucchetti, tanto alla fine non c’è santo: e cipolle fanno piangere. E se anche davvero si scoprisse un escamotagescientificamente provato per piangere di meno, io non avrei mai il tempo di applicarlo. Vado di fretta: comincio a sbucciare, subito dopo a piangere, e penso, per consolarmi, che le lacrime di cipolla fanno gli occhi belli!!
Le cose piccole (e anche i diminutivi) mi ispirano simpatia. Figuriamoci se so resistere a una reticella di cipolline borrettane (Boretto è un comune in provincia di Reggio Emilia)! Piccole, schiacciate ai poli, paglierine. Ci casco ogni anno, le vedo così belline, tutte insieme e le compro. La loro dimensione mignon però non le rende più innocue. Sono cipolle a tutti gli effetti. Buonissime, ma anche loro ampolle colme di lacrime...

Gli amici de ilBoschetto mi hanno chiesto qualche idea per un loro prodotto molto amato all’estero, ma poco conosciuto in Italia. Si tratta di una linea di “agretti”, ovvero mosto cotto aromatizzato (parliamo di aromi naturali ovviamente: nello specifico succo di Melograno). La densità è quella di un buon aceto balsamico (e questo potete usare se non avete l’agretto), ma il sapore è più fruttato e delicato. Li trovate alla Rinascente, da Eataly altrimenti direttamente sul loro sito di e-commerce!

Cipolline borrettane all’agretto di melograno”

Ingredienti:

500 g di cipolline borrettane
30 gr di zucchero di canna
45 ml di Fruttaceto al melograno “Casale Toscano” (mosto cotto d’uva aromatizzato al succo di melograno) o buon aceto balsamico
45 ml di olio extravergine di oliva
mezzo bicchiere di brodo vegetale
3 foglie di alloro
un bastoncino di cannella
acqua frizzante
sale, pepe nero

Procedimento:
-Sbucciare le cipolline borrettane, metterle in una ciotola e lavarle un paio di volte con acqua minerale frizzante per ridurne l’acidità. Accendere il forno e portarlo a 160°. Sbollentarle in acqua bollente per 8/10 minuti circa. Scolarle e metterle in una teglia da forno. Condirle con lo zucchero di canna, l’agretto al melograno, l’olio, il sale, il pepe nero macinato fresco e il bastoncino di cannella frantumato grossolanamente tra le dita. Rimestare con delicatezza, in modo che tutte le cipolline si insaporiscano. Aggiungere il mezzo bicchiere di brodo vegetale (la quantità dipende ovviamente dal tipo di teglia usata, considerate comunque che le cipolline devono avere solo la base bagnata dal brodo). Cuocere a 160° per 30/40 minuti. A metà cottura però (cioè dopo circa 20 minuti), tirare fuori la teglia dal forno, rimestare bene le cipolline e aggiungere le foglie di alloro. Quando le cipolle avranno un bel colore caramellato (senza essere rinsecchite) saranno pronte. Servite tiepide sono un ottimo contorno ai piatti di carne di maiale. Riposte i vasi sterilizzati e conservate in frigorifero si mantengono anche un mese.

Passeggiata al Mercato di Piazza Madama Cristina (Torino)

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Ve li ricordate i miei TourMarché? Bene, oggi seconda tappa: partiamo con una principessa e finiamo al mercato. Principesse, amanti e regine sono una delle mie tante e bizzarre passioni. C’è chi ha l’uncinetto, chi le parole crociate, chi Beatiful in tv e chi si fissa in testa gli alberi genealogici delle case regnati europee. La dolce metà si indigna sinceramente ogni volta che nel discorso c’è una goccia di sangue blu, ma questo mio interesse diciamo “monarchico” è dovuto all’attrazione fatale per i fasti del passato e al fatto che io posso coltivarlo in una libera e democratica repubblica (quindi non ammiro corone, ma ficcanaso leggiadramente nella vita di chi le porta-va). 
Dunque, qui sopra potete ammirare un ritratto di Maria Cristina di Francia. Lei apparteneva al genere piuttosto raro di principessa-tosta, nel senso che la sua vita si è scontrata e intrecciata con quella della città di Torino in maniera interessantissima e indelebile. Sposa bambina la chiameremmo oggi, perché appena tredicenne arriva a Torino direttamente dal Louvre (10 febbraio 1619), per sposare Amedeo I di Savoia. Figlia del Re di Francia Enrico IV e di Maria de’ Medici, sorella del futuro Luigi XIII, la piccola principessa francese in Piemonte diventerà Duchessa e poi addirittura reggente del regno. Quattrocento anni dopo la sua sensuale bellezza, i suoi gusti e le sue scelte politiche rimbalzano ancora da una parte all’altra della città che l’ha accolta. Lei è la Madama numero uno, nel senso che i torinesi cominciarono a chiamarla "Madama Reale", e da allora il nomignolo affibbiato ad una donna delicata e tenace ha vestito piazze, palazzi e strade di Torino.
Quando ho cambiato casa e sono andata per la prima volta al mercato di Piazza Madama Cristina io pensavo ai pizzi luminosi e impalpabili del suo abito, pensavo ai nostri rapporti con i luoghi, e a quanto influisce in questo il modo di definirli. Prima per me Madama Cristina era una curiosa principessa francese dai costumi raffinati, quanto criticati e licenziosi. Poi è bastato traslocare per addomesticare quel nome e trasformarlo in un luogo quotidiano e famigliare, colorato e rumoroso: il mio mercato preferito! 

La regola aurea del “nomen omen” lascia anche qui il suo segno, cioè questo è un mercato più piccolo e curato rispetto ad esempio al babelico caos di Porta Palazzo. Nonostante le dimensioni contenute ci si trova di tutto, frutta e verdura, i prodotti dei contadini e delle aziende agricole della vicinissima collina (via Galliari), tessili e abbigliamento, qualche banco di casalinghi e altri di merce usata (chincaglierie, libri e vintage). I prezzi sono mediamente più alti che in altri mercati torinesi, ma alla qualità dei prodotti generalmente molto buona, si aggiunge il vantaggio indubbio della comodità: parcheggio, rapidità e ottimo assortimento! Ah, dimenticavo la cosa più importante: questo è un mercato di quartiere, per cui sono “di quartiere” anche i rapporti umani, nel senso che dopo un po’ che chiedi alla verduriera la borragine più bella, lei te la tiene da parte e il giorno dopo vuole sapere se le foto sono venute bene e se hai pubblicato i ravioli sul blog. Oppure il fruttivendolo ti regala una manciata di noci pecan perchè le ha prese da poco e ne è entusiasta, o, ancora, mentre compri una zucca il contadino ti aggiorna sui suoi incontri mattutini con una lepre golosa che gli rosicchia i “fiori per frittata”. Insomma se volete sapere qual è il mio sabato del villaggio quando sono a Torino eccolo: spesa lenta e vagabonda al mercato di Piazza Madama Cristina e Corriere della Sera+IODonna (che per me è l’unica rivista femminile che si meriti questo nome e cioè che meriti di essere letta).
Il mercato di Piazza Madama Cristina è il cuore pulsante (diurno e commerciale) del quartiere di San Salvario. Intorno all’area del mercato si trovano una serie di negozi tradizionali e cioè utili, dal macellaio al panettiere, parrucchiere, bar, libreria, aperti anche il pomeriggio quando il mercato non c’è (qui non è ancora arrivata la serie globalizzante di negozi identici intimo-profumi-bigiotteria-fintaerboristeria che asfissia tutti i centri storici delle nostre città). Il mercato si trova sopra ad un grosso parcheggio e sotto a delle tettoie (quindi al riparo dalle intemperie). Le stesse tettoie lo rendono poco fotogenico, perché anche in un bel giorno di sole le foto sono scure, quindi perdonate i miei scatti ombrosi, ma sappiate che le bancarelle ci sono anche in caso di maltempo!
Buon Mercato
La vostra Betulla...
Mercato di Piazza Madama Cristina (Torino)
Lun/Ven 8-14
Sabato tutto il giorno
Domenica chiuso 



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