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Tartufini di cioccolato (e altri frammenti amorosi)

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Tartufini di cioccolato fondente con cuore di Marron Glacé
Confrontavo l’attesa trepidante di sfornare un dolce, o di assaggiare un laborioso manicaretto, dopo due ore di fatiche, con l’attesa amorosa (oggi è san Valentino). Dal cilindro delle mie gustose letture è saltato fuori Roland Barthes indagatore sopraffino dei tumulti del cuore (allego le sue parole, perchè cucina o sentimenti, sempre attesa è!). Secondo lui una materia deteriorabile come l’amore può essere decifrata e detta esclusivamente con una struttura frammentaria che ne eviti la banalizzazione. Secondo me il cioccolato, delicatissimo e onnipresente, si apprezza meglio con minuscole sbocconcellate golose: i tartufini. Frammenti amorosi, in entrambi i casi...

n.b: il punto n.6 è l’equivalente di quando si ha l’intenzione di fare una torta a tre piani decorata con ghiaccia e si finisce per servire un brownies a tocchetti, o si lascia perdere tutto e si va in pasticceria!

Tartufini di cioccolato bianco con cuore di scorza d'arancia candita

"É dunque un innamorato che parla e che dice:

5. «Sono innamorato? - Sì, poiché sto aspettando ». L’altro, invece, non aspetta mai. Talvolta ho voglia di giocare a quello che non aspetta; cerco allora di tenermi occupato, di arrivare in ritardo; ma a questo gioco io perdo sempre: qualunque cosa io faccia, mi ritrovo sempre sfaccendato, esatto, o per meglio dire in anticipo. La fatale identità dell’innamorato non è altro che: io sono quello che aspetta.

(Nel transfert, si aspetta sempre – dal medico, dal professore, dall’analista. Ancor più evidentemente: se sto aspettando allo sportello d’una banca, o alla partenza d’un aereo, subito stabilisco un rapporto aggressivo con l’impiegato, con l’hostess, la cui indifferenza svela e irrita la mia sudditanza; si può così dire che, ove vi è attesa, vi è transfert: io dipendo da una persona che si fa mezzo e che impiega del tempo a darsi – come se si trattasse di far scemare il mio bisogno. Fare aspettare: prerogativa costante di qualsiasi potere, « passatempo millenario dell’umanità »).

6. Un mandarino era innamorato di una cortigiana. « Sarò vostra - disse lei, - solo quando voi avrete passato cento notti ad aspettarmi seduto su uno sgabello , nel mio giardino, sotto la mia finestra ». Ma alla novantanovesima notte, il mandarino si alzò, prese il suo sgabello sotto il braccio e se n’andò."

L’attesa
Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso

Tartufini di cioccolato fondente

“Tartufini di cioccolato”

Ingredienti per i tartufini fondenti e per quelli al marron glacè:

-150 g di cioccolato fondente
-50 g di panna
2 marron glacé
rum
cacao amaro e zucchero a velo

Procedimento:
Mettere i 2 0 3 marron glacé in una piccola ciotola e irrorare di buon rum.Tritare il cioccolato su un tagliere e metterlo in una casseruola adatta al bagnomaria. Fare fondere il cioccolato a bagmomaria mescolandolo lentamente. Lasciare raffreddare togliendo la casseruola dall’acqua calda, e aggiungere al cioccolato fuso la panna fredda. Fare intiepidire il composto. Nel frattempo tagliare i marron glacè in pezzettini (saranno il cuore dei tartufini, quindi regolatevi voi per la grandezza, a seconda di quanto volete che si senta il sapore della castagna). Preparare anche due piatti piani, a uno coprirete il fondo di cacao amaro setacciato, all’altro di un misto di cacao amaro e zucchero a velo. Aiutandosi con due cucchiaini prelevate piccole porzioni del composto di cioccolato e panna cercando di dal loro la forma di una pallina. Appoggiarli delicatamente sul piatto con il cacao amaro. Quando avrete consumati circa metà del composto passate alla produzione di quelli con il cuore di marron glacè: appoggiare un pezzetto di castagna su uno dei cucchiaini che si userà per prelevare il cioccolato. Appoggiare il mucchietto di composto sul piatto con cacao e zucchero a velo. Non preoccuparsi se la forma di questi mucchietti non è molto armoniosa. Quando il composto sarà esaurito disporre alcuni pirottini su un vassoio, e procedere a riempirli dopo aver passato rapidamente i mucchietti di cioccolato tra le mani. Il calore dei palmi farà in modo che i tartufini prendano una forma più armoniosa e sferica. Eventualmente ripassarli nel cacao o nel cacao misto a zucchero a velo, e sistemarli nei pirottini.

Ingredienti per tartufini al cioccolato bianco all’arancia e cioccolato bianco, mandorla e cocco:
-150 g di cioccolato bianco
-50 g di panna
scorzette di arancia candita
mandorle pelate
cocco grattuggiato

Procedimento:
-Tritare il cioccolato su un tagliere e metterlo in una casseruola adatta al bagnomaria. Fare fondere completamente il cioccolato a bagnomaria mescolandolo lentamente. Lasciare raffreddare togliendo la casseruola dall’acqua calda, e aggiungere al cioccolato fuso la panna fredda. Fare intiepidire il composto. Nel frattempo tagliare le scorzette di arancia candita in cubetti di circa un centimetro di lato e preparare due piatti piani coprendo il fondo di uno con lo zucchero a velo, e l’altro con il cocco grattugiato. Aiutandosi con due cucchiaini appoggiare una scorzettaa su uno dei due cucchiaini e prelevare il cioccolato. Appoggiare il mucchietto di composto sul piatto con lo zucchero a velo. Procedere così per la metà del composto, poi utilizzare la stessa tecnica con le mandorle pelate appoggiandorle sul piatto con il cocco. . Quando il composto sarà esaurito disporre alcuni pirottini vuoti su un vassoio, e procedere a riempirli dopo aver passato rapidamente i mucchietti di cioccolato tra le mani. Il calore dei palmi farà in modo che i tartufini prendano una forma più armoniosa e sferica. Eventualmente ripassarli nello zucchero a velo o nel cocco prima di sistemarli definitivamente nei pirottini.

Fare riposare i tartufini in un luogo fresco e asciutto prima di servirli.
Tartufini di cioccolato bianco, mandorle e noce di cocco



Zanella d'uovo con pan lavato agli asparagi

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Mi piacciono le cose semplici, e mi piacciono le cose buone. E credo che l’educazione alimentare sia talmente importante che dovrebbe essere insegnata a scuola insieme a quelle due o tre cosette veramente necessarie per affrontare la vita adulta (grammatica, numeri e poesia)! Per questo la mia ricetta di oggi aderisce al Food Revolution day, una giornata mondiale di sensibilizzazione alimentare ideata dallo chef inglese Jamie Oliver

Per chi bazzica nel mondo food lui non ha bisogno di presentazioni....tutti gli altri possono averlo incrociato in tv mentre cerca di insegnare a fare le polpette a qualche genitore distratto abituato a comprare cibi pronti per i propri figli. Constatando la tragica situazione alimentare dei bambini americani Jamie ha avuto l’idea di educarli ad un cibo più sano e naturale proprio partendo da chi cucina per loro! Negli anni il progetto è cresciuto, sino a diventare unevento mondiale con più di 1400 ambasciatori sparsi ai quattro angoli del pianeta. I punti fermi sono pochi, ma fondamentali: ingredienti genuini, ricette semplici, no al cibo industriale, riscoprire l'atto del cucinare e innamorarsi di ciò che si ha nel piatto. E in tante città del mondo, oggi 15 maggio, si fa qualcosa per nutrire questa coraggiosa rivoluzione! La città di Torino aderisce con il NO WASTE CONTEST, un grande contest on line dedicato a combattere lo spreco alimentare (sono previste due sezioni La cucina del riciclo e Il pane vecchio non si butta e si partecipa condividendo sul proprio spazio web - blog, il profilo Facebook, Instagram o inviandole via mail- le ricette del riciclo con gli hashtag #FoodRevolutionTurin#NoWasteContest ). Sul sito Food Revolution Turin potete trovare tutte le informazioni relative al contest, mentre qui potete firmare la petizione a supporto dell’educazione alimentare nelle scuole!
                                                       ***
La mia ricetta gioca con l’etimologia della “panzanella”, il piatto a base di pane raffermo tipico delle zone dell’Italia centrale, discendente, con molta probabilità dall’usanza contadina di bagnare il pane vecchio prima di consumarlo mescolandolo con ortaggi. Sembra che l’antico alimento prenda il nome dalla “zanella”, ovvero un conchino o un piatto fondo. Per questo ho preparato un primaverile “conchino” di uovo sodo, ripieno con una “panzanella bianca” (priva del tradizionale pomodoro) aromatizzata con brodo di gambi di asparagi, basilico e decorato con una morbida “mimosa” di tuorlo. Tanto per fare la "precisetti" ho usato la stessa denominazione utilizzata dal Boccaccio nel Decameron (VII novella del VIII giornata) di “pan lavato” (priva appunto di pomodoro), anche se qui la nota acidula è data solo dallo scalogno e non dall’aggiunta di aceto!

La fotografia degli ingredienti sul tavolo non è solo una posa... il fondo di un mazzo di asparagi, un panino secco, qualche uovo, 5 foglie di basilico e una cipolla possono diventare davvero un pasto... rivoluzionario perché fatto di scarti, di cose semplici e buonissime! Basta poco... per mangiare bene e non sprecare!


Zanella d’uovo con pan lavato agli asparagi”

Ingredienti (per circa 16 “zanelle”):
il fondo di un mazzo di asparagi
150 g di pane raffermo
8 uova
6 foglie di basilico (+ quelle per la decorazione)
1 scalogno o una cipolla
sale, pepe nero macinato fresco, olio extra vergine d’oliva

Procedimento:
-Lavare bene il fondo degli asparagi, e mondarli. Metterli in una pentola e coprirli appena d’acqua. Aggiungere uno scalogno pulito (o una cipolla divisa a metà) e fare sobbollire dolcemente per 30/40 minuti. Una volta ottenuto un brodo verde scuro abbastanza ristretto spegnere il fornello. Tenere da parte lo scalogno (cipolla), poi filtrare e fare raffreddare.
-Tagliare a grossi dadi il pane raffermo, metterli in una ciotola e irrorarli con abbondante brodo di asparagi. Fare riposare circa 10 minuti. Nel frattempo tritare su un tagliere lo scalogno cotto e tenerlo da parte. Tritare finemente anche il basilico. Strizzare bene il pane e contemporaneamente sminuzzarlo un poco con le mani. Riporlo in una terrina capiente, unirvi lo scalogno e il basilico. Condire con sale, pepe nero e un cucchiaio di olio extravergine. Mescolare bene con una forchetta sino ad avere un composto denso e cremoso. Riporre la panzanella bianca in un contenitore e conservarla in frigorifero.
-Preparare le uova sode facendole cuocere in acqua bollente per 8/10 minuti (perché non si rompano in cottura devono essere a temperatura ambiente). Raffreddarle rapidamente in acqua fredda (per evitare la formazione dell’anello verde scuro intorno al tuorlo), e sgusciarle. Tagliarle a metà e mettere da parte i tuorli sodi.
-Passare 6 mezzi tuorli al setaccio (più il setaccio è a maglie sottili più si avrà una “mimosa” fine e spumosa!) e mescolarli alla panzanella bianca. Secondo i gusti si possono incorporare anche più tuorli alla panzanella (sia mimosa che a rondelle direttamente sul mezzo uovo già farcito).
-Farcire con la panzanella bianca le mezze uova sode. Disporle su un piatto di portata e decorare ognuna con una foglia di basilico, qualche goccia di olio e abbondante mimosa (fatta al momento di servire con i tuorli restanti).

Bloody Mary

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Cari Amici,
questo maggio è un mese intenso! Dallo scorso Sedici a oggi a me e alle mie dolci compagne di ventura sono successe talmente tante cose incredibili, squinternate, belle e ridicole che ci siamo sentite un po’ come sei personaggi in cerca d’autore! Nonostante tutto, però, oggi siamo qui, ognuna sul suo personale, piccolo palcoscenico per portare in scena le due vincitrici di Sedici Erbe e Verde, annunciare la nuova famiglia di sapori con cui giocare, e lasciarvi una ricetta basata sul nostro ingrediente!! 

Allora cominciamo con l’ambita coccarda verde primavera... che questo mese si aggiudicano due bellissime ricette a base di verdissimi piselli! Da un lato l’innovazione, la creatività e il gusto della sperimentazione nella ricetta di Alice del blog Panelibrienuvole che ha preparato per noi una originalissima "Cheesecake salata di piselli e amaranto con zabaione al parmigiano". Dall’altra un piatto fusion e tradizionale insieme, lento e antico come le due città a cui si ispira: la "Garmugia Livornese" di Enrica del blog CoccolaTime, che ha unito il classico caciucco livornese, agli ingredienti della garmugia secondo la nobile tradizione lucchese. Bravissime, e complimenti da tutto l'ammaccato ma vivace team di Sedici!
Detto questo è d’obbligo sottolineare che le ricette che #Sedici riesce a stuzzicare nella vostra fantasia sono veramente curiose e interessanti: siamo orgogliose di voi! Continuate così, anzi scatenatevi...perchè con la bella stagione giochiamo con una famiglia bellissima e colorata i Fruttati Freschi! 

Io sono il solito fenomeno, perchè in una famiglia intera di frutta ho scelto un ingrediente che è fruttato solo tecnicamente, ma nella realtà è associato molto spesso alla verdura: il Pomodoro! Poco male perchè #Sedici ci insegna a ragionare non per luoghi comuni, ma per sapori...e così avrete modo di esplorare ciò che il vostro palato non avrebbe mai potuto immaginare!!Coraggio...non deludetemi!!
Gli abbinamenti di Niki Segnit per il Pomodoro sono:
Pomodoro&Acciuga; Pomodoro&Aglio; Pomodoro&Agnello;Pomodoro&Anguria; Pomodoro&Anice;Pomodoro&Arachide; Pomodoro&Avocado; Pomodoro&Bacon; Pomodoro&Basilico; Pomodoro&Cannella; Pomodoro&Cappero; Pomodoro&Cetriolo; Pomodoro&Chiodi di garofano; Pomodoro&Cioccolato; Pomodoro&Cipolla; Pomodoro&Foglia di coriandolo, Pomodoro&Formaggio Fresco; Pomodoro&Formaggio stagionato, Pomodoro&Fragola; Pomodoro&Frutti di mare; Pomodoro&Funghi; Pomodoro&Lime; Pomodoro&Limone; Pomodoro&Maiale; Pomodoro&Manzo; Pomodoro&Melanzana; Pomodoro&Noce moscata; Pomodoro&Oliva; Pomodoro&Patata; Pomodoro&Peperoncino piccante; Pomodoro&Peperone; Pomodoro&Pepe bianco; Pomodoro&Pollo; Pomodoro&Prosciutto crudo; Pomodoro&Rafano; Pomodoro&Salvia; Pomodoro&Timo; Pomodoro&Uovo; Pomodoro&Vaniglia; Pomodoro&Zenzero.

La famiglia “Fruttati Freschisi divide così:
(visitate i blog delle mie compagne di ventura per conoscere tutti gli abbinamenti e curiosare le nostre interpretazioni)

Mela
Crumble di mela&cannella
Rabarbaro
"Mini piadine farcite con lonza e crema di cipolle di Tropea e rabarbaro."
Ciliegia
"Muesli homemade con ciliegie e nocciole"
Ananas
"Bistecca Notturna"
Pomodoro
Betulla
"Bloody Mary"
Fragole
"Donught alla cannella con glassa alle fragole"

Ancora qualche info tecnica:
-si gioca dal 16 maggio al 13 giugno 2015.
-qui trovate il regolamento completo di #Sedicie qui la pagina Fb a cui iscriversi.
-ricordatevi di specificare con chiarezza l’abbinamento che intendete interpretare con la vostra ricetta.
-si può partecipare con UNA sola ricetta appositamente creata e fotografata per #Sedici e solo con uno degli abbinamenti della “Grammatica” (sappiamo che ve ne vengono in mente molti altri, ma, per quanto -parziale e soggettiva- noi seguiamo come una Bibbia la classificazione di questo libro).
- Per completezza specifichiamo che secondo l’autrice la famiglia “Fruttati Freschi comprende anche Anguria, Uva e Pera. Noi però abbiamo deciso di giocare solo con gli ingredienti che trovate abbinati ad uno dei nostri blog (cioè Ciliegia, rabarbaro, pomodoro, Fragola, Ananas, Mela).
E infine ecco la mia ricetta base di pomodoro. Dunque... diciamoci la verità. Io ho sempre pensato che il Bloody Mary non fosse nient’altro che una specie di gazpacho alcoolico. Dato che qua e là la nostra Segnit interpreta un abbinamento di sapori con una bevanda ho pensato bene di provarci anche io. Abbinamento notissimo, Pomodoro&Peperoncino Piccante, in un cocktail altrettanto conosciuto come il Bloody Mary. Però mai sottovalutare l’ovvio! Infatti mi sono resa conto che quella del Bloody Mary è una fama leggendaria. Una fama piena zeppa di fantasie bizzarre in cui è difficile distinguere le invenzioni dalla realtà. Il cinema ama proporci personaggi innamorati del loro Bloody Mary, da Richie nel film “I Tanebaum" passando per Louise, la mamma dei "Jefferson", alla mitica Bridget Jones. Ma nella vita di tutti i giorni non mi è mai sembrato un cocktail così amato, e, almeno in Italia, così facile da ordinare in un locale. Ha il suo caratterino. Non è un Mojito. Eppure alla fine conquista anche gli scettici. La regola aurea (betulliana) è solo una: dimenticate le pur validissime proporzioni I.B.A (International Bartenders Association), e preparate il vostro cocktail come se steste facendo una zuppetta, un gazpacho o un frullato... condire a pizzichi e gocce, magari con gli occhi chiusi e servire!
Non c’è nulla, ma proprio nulla di ortodosso nel mio Bloody Mary... che ho interpretato qui come se avessi trovato l’anello di congiunzione tra il bancone del bar e il tavolo della cucina! Ma provate a fare un giretto qui per capire la sua natura di “essere ibrido” aperto alle tante suggestioni di barman, clienti, sperimentatori e profanatori (come me). Pare sia un toccasana dopo le sbronze...anche questo non l’ho mai capito. Perchè non riesco a capacitarmi di come si possa bere una cosa che ha sapore di pomodoro, peperoncino, vongola, cipolla, sedano, pepe dopo una notte brava! Forse anche questo capita solo nei film!

“Bloody Mary”
Ingredienti:
125 ml di succo di pomodoro
50 ml di vodka
succo di mezzo limone
Tabasco
salsa Worcestershire
sale di sedano
pepe nero

per guarnire:
una fetta di limone, un gambo di sedano fogliuto, zucchero per il bordo del bicchiere.

Procedimento:
Nello shaker, o comunque in un contenitore mescolare il succo di pomodoro e la vodka (mantenere sempre le proporzioni 2:1). Aggiungere il succo di limone, e condire con qualche goccia di Tabasco e di salsa Worcestershire. Mescolare bene e condire con sale di sedano e pepe nero. Assaggiatelo, deve essere sapido, piccante e fruttato. Deve essere condito e gustoso già prima di essere versato nel bicchiere. Volendo c’è chi nello shaker nette del ghiaccio...ma io lo preferisco liscio. Bagnare il bordo del tumbler con acqua, poi intingerlo nello zucchero, rovesciarvi il Bloody Mary, decorare con mezza fetta di limone e sedano.
Servire con patatine, noccioline e pistacchi!


Pesto di Basilico e Noci

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Con questo post inauguro l’ennesima idea strampalata del Betullablog: una serie di ricette dedicate agli aromi in cucina. Parlo sia di erbe aromatiche fresche -che pullulano in questa stagione-, sia di quegli aromi che sono buoni anche secchi, conservati in dispensa. Dato che sono appena atterrata al pc dopo un w.e di meraviglia e arcobaleni (nati tutti esclusivamente grazie a questo mio ticchettio insensato sulla tastiera), mi è più facile riprendere la metafora degli “aiutanti magici”. Calza a pennello, lì a metà tra il mondo fiabesco decodificato da Propp, le magie di cui è capace questo piccolo blog, e le persone in carne ed ossa che, con grande piacere, ho potuto abbracciare.

Qualcuno dice che se non si fosse esibizionisti, se non ci si volesse esporre, non si scriverebbe un blog, ma un semplice quaderno di cucina! Ecco, per dirla tutta invece io ho cominciato pensando solo alla condivisione della cucina in sé... infatti sono riuscita a chiedere “un blog senza possibilità di commentare”. Il saggio interlocutore ha strabuzzato gli occhi, e ha insistito spiegandomi che la condivisione è migliore con diritto di replica. Insomma, alla fine ho accettato questi benedetti commenti e un blog che non fosse un ricettario muto. La mia richiesta -decisamente estrema e decisamente ridicola-, era dovuta a un atteggiamento un po’ guardingo verso il web. Diciamo che ho sempre creduto che la realtà virtuale fosse quella più facilmente alterabile: dietro allo schermo, con il filtro delle parole, ci si può migliorare all’infinito, creando avatar di sé praticamente perfetti. Chi poteva immaginare che invece, da questo piccolo e inconsistente spazio virtuale, nascessero emozioni concretissime...amicizie, abbracci e sorrisi? Io no, non lo immaginavo, e per una volta sono proprio contenta di essermi sbagliata e anche di aver cambiato idea!
Per prima cosa ho conosciuto Sabrine d’Aubergine, autrice del mitico blog "Fragole a merenda" (da poco divenuto anche un preziosissimo libro). La misteriosa e dolcissima signora, con le sue colte avventure tra pennelli, fornelli, fantasmi e ricordi è stata una grande ispirazione per me. La sua delicatezza, discreta e poetica, mi ha fatto venire voglia di scrivere, di raccontare, mescolando qualcosa di me e della mia realtà alle ricette che accumulavo sull’agenda. Dopo aver letto e riletto tutti i post del suo blog (ma proprio tutti), mi sono resa conto che esisteva il modo di raccontarsi senza mettere per forza sé stessi al centro della narrazione. Anche io volevo semplicemente scrivere qualche pezzetto della mia esistenza, e della mia cucina. E così ho fatto!
Or dunque, voi non andreste a stringere la mano ad una signora tanto interessante? Dato che negli anni ho accumulato un discreto bagaglio di “incontri con gli autori” (tutti rigorosamente accompagnati da libro autografo con dedica che lascerò ai posteri come eredità), mi son fatta cogliere dall’ansia da prestazione. Non la mia. La sua. Ho iniziato a pensare a tutti quelli che non sono stati all’altezza di ciò che scrivevano, diciamo a tutte le volte in cui ci si avvicina troppo ai propri idoli per poi trovarsi con le mani sporche di carta stagnola e non di oro. Diverse volte ho dovuto fare i conti tra l’immagine che mi ero creata nella testa e il modo di porsi di quella che credevo essere una persona straordinaria. Insomma, per farla breve sono andata a questa specie di presentazione solo perché dovevo andare a un altro evento al Salone del Libro. Altrimenti avrei volentieri lasciato la cara Sabrine nella sua cucina sui tetti della mia fantasia per paura di rovinare un “personaggio” tanto significativo per me. Ecco, conoscevo talmente bene il personaggio, che temevo di incontrare la persona che l’aveva creato. E invece con grande piacere non c’è stata alcuna delusione: Sabrine è esattamente come scrive di essere. Racconta sé stessa, sicuramente con licenza poetica, gusto romanzesco e originalità, ma non si inventa, non si migliora e non si lucida per apparire sul web. Dire a una persona: sei esattamente come immaginavo che fossi dai tuoi racconti è la cosa più bella che sono riuscita a dire a questa piccola grande scrittrice. Sabrine ha apprezzato, e potete leggerlo anche nel suo ultimo post.
Neanche tre ore dopo, nello stesso spazio di Casa Cook Book, c’era la presentazione del libro “Il Gusto della Terra”. Oltre al piccolo miracolo che è il libro (nato dalla collaborazione di 110 foodblogger di tutta Italia, dico 110, mica due), il suo debutto è stato l’occasione per incontrare una serie di deliziose e sconosciute signorine con cui “chiacchiero” praticamente ogni giorno da anni. Non mi sembrava vero: baci, abbracci, figli, foto, sorrisi, regali, mariti e libri dappertutto. Eravamo più di cento. Un guazzabuglio incredibile di emozioni e ciance...sì, diciamolo pure, un vero pollaio! Per me, che sono social come un’aspirapolvere, e interattiva come una stilografica a stantuffo, avere la possibilità di dare un volto alle parole e ai sogni di queste mie care frequentazioni virtuali è stato meraviglioso. Esistete davvero amiche mie! Siete belle, chiacchierone, riservate, curiose, siete mamme, a volte nonne, siete sole, innamorate, serene o arrabbiate con la vita, siete simili ai miei pensieri, oppure vivete in cima a un tacco dodici dentro a un tubino nero. Non importa, mi ha fatto piacere abbracciarvi, sapere che abbiamo tanto in comune oltre alla passione per questo mondo food! Ecco, ricordatevelo anche voi, cari lettori, dietro a questi blog ci sono delle persone vere, ci sono sempre delle persone dietro agli arcobaleni!!

p.s: grazie Jessica, sapere che il mio dado accompagna i tuoi pasti, tanto da proporlo (e farlo approvare) anche alla tua nutrizionista è il complimento più bello che potessi ricevere!
E adesso passiamo al basilico. Cosa c’entra? Dai è facilissimo. È un vero “aiutante magico”, schietto e sincero come certi amici. Non mi metto qui a raccontare quanto sia facile da coltivare in vaso (esistono milioni di siti sul tema “orto sul balcone”, e troverete valanghe di indicazioni migliori). E poi detto sinceramente anche a 1 euro per 3 mazzolini, vi portate a casa un basilico (con radici) davvero buonissimo! Insomma, io lo trovo davvero essenziale in cucina... tanto che in inverno conto i mesi senza il basilico dal verduriere. Purtroppo sono incapace di usarlo congelato in quei triti da freezer, surrogo un po’ con quello secco...ma non è proprio la stessa cosa. Questo vuol dire che quando è stagione ne faccio grandi scorpacciate, e cerco di non farlo mai mancare sul balcone o nel frigorifero (avvolgetelo in uno scottex appena umido). Anche perché è proprio versatile. Un rosmarino non vi salva la cena, il basilico sì, perché è capace di dare un tocco di luce e di sapore con discrezione (ad esempio in un bel minestrone), così come di diventare protagonista del piatto. Riporto qui una di quelle ricette talmente semplici, che quasi reputavo non degna di apparire sul blog. In realtà, come ho raccontato, di cose semplici e autentiche si vive e ci si nutre tutti i giorni, per cui ecco il mio pesto di basilico e noci.

Preciso che 1. pesto è una definizione generica, per cui non ho pretese di somiglianza o avvicinamento con il celebre ligure; 2. uso le noci perché le raccolgo dal mio albero, quindi mi costano meno che i pinoli; 3. non uso il mortaio ma il robot da cucina perché questa è una ricetta easy, veloce e profana; 4. cerco di farne poco per volta e di consumarlo entro qualche giorno (non amo i barattoli botulinici di pesto conservati che vagano da un frigorifero all’altro. Meglio fresco e preparato direttamente per il consumo, con le trenette, o con... qualunquealtrapastaabbiateincasa!).
Fine. E cercate di essere felici, verdi e vivi come un basilico d’estate!
Betulla

“Pesto di Noci e Basilico”
Ingredienti:
60 g di foglie di basilico
55 g di noci
45 g di grana Bella Lodi*
150 ml di olio extravergine di oliva
sale e pepe nero macinato fresco qb

Procedimento:
-Lavare molto rapidamente le foglie di basilico poi asciugarle in una centrifuga per insalata o tra alcuni fogli di carta scottex (lo so che questa del lavaggio è un’eresia per un ligure, ma ho precisato che è una ricetta profana che segue le regole della MIA cucina e non la tradizione; e comunque anche “lo shampoo” del basilico può essere fatto con cura e attenzione senza strapazzarlo troppo)!
-Mettere tutte le foglie di basilico nel robot da cucina, aggiungere le noci, il grana grattugiato e100 ml di olio. Frullare il tutto procedendo a impulsi (eventualmente aggiungere gli altri 50 ml di olio extravergine) fino ad ottenere un pesto omogeneo e piuttosto fine. Aggiustare con sale e pepe nero.
- Riporre il pesto in un barattolo di vetro coprendolo con un filo d’olio. Conservato in frigorifero dura circa una settimana.
-Al momento dell’utilizzo scaldare un cucchiaio di pesto circa per ogni commensale insieme a due cucchiai di acqua di cottura della pasta. Ripassare nel pesto caldo la pasta cotta e servire!

*Dato che questo pesto vuole essere proprio per tutti  lo si può preparare sia con il classico grana "Bella Lodi" (tradizionale grana lodigiano) naturalmente privo di lattosio, che con la versione "Bella Lodi Vegetarian Rennent" prodotto con caglio vegetale, e quindi adatto anche ai vegetariani (certificabile Kosher e Halal).
E chi non ha un amico Veg da accontentare?

Quiche con biete rosse, brie e yogurt

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Fammi vedere il tuo frigorifero e ti dirò chi sei! Non è una proposta indecente...è uno dei miei “metri” per valutare una casa e i suoi abitanti. Lo so, è un po’ assurdo... ma c’è chi guarda le scarpe delle persone, chi i calzini, chi fissa le unghie, chi valuta le borse, chi ispeziona il bagno, chi da i voti alla camera da letto...e io, se capita, sbircio il frigorifero.

Per prima cosa l’odore, che proprio non ci deve essere. Non posso sopportare il burro che sa di mela, la mousse di cioccolato bianco con nuance di peperone e la lattuga al Bleu di Capra. Non sto romanzando, sono cose che mi sono capitate davvero!
Seconda cosa: l’ordine e una rigida separazione in “caste alimentari”. Mi piacciono i frigoriferi rigorosi, con una divisione sensata degli alimenti che consideri sia le differenti fasce di temperatura sia la distinzione crudo/cotto (le uova tra i formaggi turbano i miei sonni quasi quanto la stratificazione di cibi modello “scavo archeologico”, con gli acquisti recenti a galleggiare su reperti antichi e scaduti).
Detto questo, come faccio io a essere contenta quando mi mettono nel piatto una “quiche svuotafrigo”? Non riesco proprio ad andare oltre all’espressione figurata...che già è brutta oltre ogni limite. Io quando la sento comincio a pensare cose acide come il latte scaduto, tipo: "tu comincia a tenere in ordine il tuo frigo, vedrai che non hai bisogno di buttare fossili alimentari in una torta. Ma poi perché tu devi fare ordine e io devo mangiare un’accozzaglia di sapori legati alla bell’e meglio da uova e panna?"
Alla fine oltre a trovare terribilmente brutto il modo di dire (non si può chiamare Quiche Fantasia? troppo semplice?), io nelle ricette svuota frigo non ci credo. Non mi capita mai di trovare “casualmente” nel mio frigo: pasta brisé, uova, latte, panna, prosciutto (pancetta o trita), verdure, Parmigiano, formaggi vari, olive, sott’oli....C’è un problema di approvvigionamento direi, perchè se sono nel frigo è perché voglio farci qualche cosa...o comunque voglio mangiarli in tempi ragionevoli, senza l’affinamento con aria forzata a 4°.
Insomma, dopo mezza pagina di tirata per sbugiardare questa “creatura mitologica” che è la tortasalatasvuotafrigo avrete capito che per me le quiche devono essere fatte con ingredienti freschi, buoni e ancora commestibili. Li compro addirittura apposta...e alcuni non passano neanche dal frigorifero e saltano direttamente nel forno!!!

p.s: per prevenire gli odori il mio trucchetto della nonna è una ciotolina piena di bicarbonato di sodio: è un assorbi-odori formidabile e super economico. Sull’argomento frigo esiste poi una miniera di informazioni a cielo aperto: il sito del Ministero della Salute. Certo il decalogo sulla sicurezza del frigorifero può sembrare un’ovvietà... quasi quanto usare ingredienti freschi per fare una quiche!

Ultimamente sono invaghita per queste bietole da costa rosse (esistono anche gialle/arancio, bianche e ogni tanto si trovano mazzetti di “Costine Arcobaleno”). Il sapore non cambia molto rispetto alla classica bieta verde, anche se il gambo risulta più consistente e croccante. La sostituzione dello yogurt al posto della panna nell’apparecchio(composto legante fatto di uova, latte e panna) cambia completamente la consistenza della quiche che rimane più soffice e leggera (sia nel sapore che nei grassi).

“Quiche con biete rosse, Brie e yogurt”

Ingredienti:
2 mazzolini di biete rosse (200 gr circa)
125 g di yogurt intero (un vasetto)
100 g di Brie
100 ml di latte intero
2 uova
1 scalogno o una cipolla piccola
sale pepe bianco macinato fresco

Procedimento:
-Affettare sottilmente lo scalogno o la cipolla e tenerlo da parte, nel frattempo mondare le biete rosse,e tagliarle a pezzetti di circa 1 cm. In una padella antiaderente scaldare un cucchiaio di olio extravergine di oliva, farvi appassire lo scalogno e subito versarvi sopra le biete rosse. Ripassare il tutto molto rapidamente e fare raffreddare.
-Accendere il forno e portarlo a 180°.
-Stendere la pasta brisè fino ad ottenere un disco sottile adatto a coprire il fondo di una tortiera da 22 cm di diametro. Sistemare la pasta su un foglio di carta da forno e bucherellarla con i rebbi di una forchetta.
-In una ciotola capiente mescolare con una frusta lo yogurt, il latte e le uova. Salare e pepare secondo i gusti.
- Trasferire sul fondo della torta le biete cotte, poi distribuire le fettine di Brie in modo armonioso. Coprire il tutto con l’apparecchio allo yogurt.

-Infornare per circa 35 minuti, o comunque fino a che la crosta non sia dorata!


Uovo e asparagi in vasocottura

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Non c’è vasetto che entri pieno nella mia cucina per uscire vuoto in direzione di una di quelle campane per il riciclo del vetro. Non ci riesco. Li lavo con cura, tolgo l’etichetta, li faccio asciugare mezza giornata a testa in giù su un canovaccio. Poi li metto in dispensa. Ho una piccola dispensa per alimenti, farine, scorte...e una dispensa del vetro (vasetti, bottiglie, ciotoline). Potrebbero sempre servire, mi dico! Certo, poi quando faccio la marmellata voglio i vasetti tutti uguali, e i tutti tappi nuovi....ma questo non mi impedisce di alimentare un mio “fragile e trasparente regno del vetro” al grido di: “io gli spaiati non li butto”.

L’altro giorno ero in una di queste fasi di sistemazione vasetti: se ne erano accumulati parecchi sul davanzale quando il vento ha fatto sbattere la finestra aperta. Il tintinnio sul pavimento preannunciava catastrofi, invece non se n’è rotto neanche uno! In coda al rumore una voce è uscita dallo studio: “prima che il vetro diventi bene rifugio possiamo eliminarne qualcuno”? Ci sommergeranno!
I miei vasetti armati di tappi e guarnizioni attaccheranno i bipedi della casa o mi saranno eternamente grati per averli risparmiati da un destino di frantumazione e fusione certa?? Principessa di un già vasto regno inutile e trasparente la stessa sera sono tornata dalla spesa con nuovi sudditi fedeli.
Incredibile, ma anche nel mio supermercato di provincia sono arrivati i vasetti per la vasocottura! Sì, lo so, nel resto del mondo la moda è quasi passata, ma almeno non ho dovuto ordinarli su Amazon: come facevo a dire alla dolce metà che avrei speso una trentina di euro in vasetti di vetro VUOTI?
I vasetti per la vasocottura sono in vetro pirofilo con un coperchio in vetro, una guarnizione in gomma e due ganci in metallo. Esistono in diverse forme e dimensioni (da 150 ml a 1 litro), e hanno prezzi molto molto variabili a seconda del posto dove si acquistano (il minimo che ho visto in giro è 2 euro per quelli da 290 ml -completi di tappo, guarnizione e ganci- poi stranamente il prezzo è inversamente proporzionale alla capacità perché quello da 1 lt costa 3 euro).
Attenzione però perché non per tutti i tipi di vasocottura sono necessari questi vasetti speciali, che rimangono comunque abbastanza difficili da reperire! In alcuni casi vanno benissimo barattoli per conserve, o vasetti di recupero della marmellata!

Dunque facciamo un po’ di chiarezza. “Vasocottura”è una denominazione generica che indica in realtà diversi metodi di cottura, tutti, ovviamente, accomunati dal vaso in vetro nel quale si cuociono gli alimenti. É un metodo molto amato dall’alta cucina, perchè le basse temperature e l’ambiente chiuso del vasetto permettono una concentrazione di sapori straordinaria. In pratica il cibo cuoce immerso nei propri succhi...senza dispersioni di nutrienti e aromi: un sistema eccellente per fare risaltare la qualità delle materie prime!

1. Vasocottura in forno a secco
-Nel vasetto - chiuso con il coperchio privo di guarnizione – gli alimenti sono coperti da un liquido (vino, brodo, latte olio) e poi infornati. É un sistema perfetto per le carni, perché la cottura abbastanza lunga (mediamente 2 ore) a temperatura relativamente bassa (150°) in un liquido le rende tenerissime e saporite.
-Usati senza coperchio il vasetto è un sostituto perfetto (e un po’ più curioso) di stampini d’alluminio e cocottine in ceramica per i dolci. La cosa più sensata è continuare a usare gli stampini per le preparazioni classiche, mentre questi vasetti sono consigliati in tutti i casi in cui il dolcino va conservato: si cuoce in forno senza coperchio, poi appena si sfornano i vasetti li si chiude in modo che si crei il vuoto al suo interno. In questo modo il dolce si conserverà diversi giorni fuori dal frigo (ricordate le famose “torte in barattolo” che impazzavano nel web qualche anno fa? Questi vasetti sono l’ideale!).
2. Vasocottura in forno a bagnomaria
-In una teglia si mettono due fogli di carta scottex, si sistemano i vasetti chiusi ma senza guarnizione, e si aggiunge acqua bollente (3 cm circa, ma dipende dalla capacità del vaso). Infornati (forno statico) a 130° questo è un sistema di cottura delicatissimo per pesce (10/15 minuti) e verdure.
3. Vasocottura sul fuoco a bagnomaria
-I vasetti chiusi con coperchio e guarnizione vengono immersi in una teglia di acqua scaldata sul fornello e prossima alla bollitura. Simile alla cottura a vapore questo sistema è il più adatto alle uova, alle verdure e alla frutta fresca. Ha il vantaggio della delicatezza, e permette di prendere confidenza con questo metodo perché sul fornello si può controllare con più facilità il grado di cottura degli alimenti. Inoltre, con la bella stagione, non accendere il forno è un vantaggio ulteriore. Io ho usato questo terzo metodo per la mia ricetta di oggi. 
4. Vasocottura in microonde
Se avete passato le notti a guardare e riguardare “Accademia Montersino” su Alice sapete di cosa parlo. Lo chef Luca Montersino, a cui probabilmente si deve il merito di aver fatto conoscere al grande pubblico questa tecnica, utilizza spesso la vasocottura in microonde (mitica la ricetta della Zuppetta di pesce e cannellini che si trova anche a pag. 99 dell’omonimo libro). Lui però prima di mettere il vasetto nel microonde lo mette sottovuoto. Questo passaggio risulta difficile da fare in casa. Nel web ci sono orde di fans che hanno adattato le sue ricette evitando o dribblando questo passaggio in modi molto fantasiosi e a volte poco convincenti. Pare che la ricetta funzioni benissimo anche senza sottovuoto... io sinceramente a casa senza sottovuoto professionale non mi sono ancora lanciata in questa “Vasocottura del Quarto Tipo”... quindi tentate a vostro rischio e pericolo!

N.B: la vasocottura arroventa i vasetti. Per cui occorre maneggiarli con molta cura! Eventualmente ci si può dotare di questo fantastico aggeggino che io uso anche per la sterilizzazione dei vasetti e, in generale per manipolare barattoli bollenti.
Pinza per barattoli bolenti


“Uovo e asparagi in vasocottura”

Ingredienti:
un disco di pane carasau
4 uova freschissime e di ottima qualità
un mazzo di asparagi (considerate 4 punte per commensale + qualche rondella)
olio extravergine di oliva
sale nero di cipro macinato fresco
sfoglie di Raspadura Bella Lodi* q.b

+un vasetto per vasocottura da 290 ml per ogni commensale

Procedimento:
-Mondare gli asparagi e cuocerli a vapore per 8 minuti circa (oppure sbollentarli in acqua bollente per 3 minuti). Scolare, fare raffreddare in acqua e ghiaccio. Dividere le punte e tagliare i fusti a rondelle.
-Mettere due dita d’acqua in una teglia di acciaio inox adatta a contenere 4 vasetti (si può sostituire con una casseruola).
- Per ogni vasetto sbriciolare un quarto del disco di pane carasau. Disporre queste briciole sul fondo e condirle con un filo di olio extravergine.
- Sistemare sul pane qualche rondella di asparago, e le punte. Rompere un uovo in ogni vasetto, facendo attenzione che il tuorlo rimanga intero. Condire con sale nero e pepe. Chiudere i vasetti con guarnizione, coperchio e ganci.
-Immergere nella teglia due fogli di carta da cucina, in modo che i vasetti non traballino durante la cottura. Sistemare delicatamente i vasetti nell’acqua appena bollente. Il livello dell’acqua deve superare di poco quello dell’uovo nel vasetto. (magari fate le prove con l'acqua fredda per rendervi conto della quantità di liquido necessaria).
-Cuocere per circa 15 minuti, o comunque sino a che l’albume non sia ben rappreso e il tuorlo non abbia raggiunto la consistenza desiderata.
-Estrarre con attenzione i vasetti dall’acqua, tirare la guarnizione, tenendo ben saldo il tappo del vaso. Completare l’uovo con qualche sfoglia di Raspadura lodigiana e servire.


*La Raspadura è un tipico grana lodigiano che viene lavorato a mano con una lama in modo che dalla giovane forma si ottengano delle soffici sfoglie di formaggio. Sembra che questa lavorazione caratteristica sia dovuta a forme di grana non perfettamente stagionate che il padrone della cascina faceva “raschiare” ai suoi casari: la raschiatura era data ai contadini. Da piatto poverissimo e rustico (tipico nelle osterie la domenica) la Raspadura è diventata un formaggio ricercato, scenografico e particolare!

Scones di Brenda dal libro "Fragole a merenda" di Sabrine d'Aubergine

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 Buone Letture (con ricetta):

"Fragole a Merenda"
 di Sabrine d'Aubergine
Guido Tomasi editore 2014
35 euro
 
***
 
...la simultaneità non mi appartiene! Posso anche andare in giro per il mondo e postare su fb i miei piedi/pensieri vagabondi, oppure partecipare agli eventi e twittare quel che vedo, ma alla fine a me piacciono i tempi lunghi, i silenzi, le pause, e il raccoglimento che riescono a diventare chiarezza. Ho bisogno di tempo per capire come la penso davvero!

Al momento buono manco sempre di opinioni fast food, di risposte pronte e di capacità multi-tasking! Ecco, la verità è che sono una lumaca con una iridescente parvenza tecnologica, e un’animo da signorina ottocentesca molto più adatta a una waterman a stantuffo con inchiostro nero-blu che alla velocità dei social!
Bene, questa volta mi sono presa tutto il tempo che volevo per scrivere qualcosa intorno a questo libro. É uscito l'autunno scorso. Ovviamente l’ho comprato il giorno esatto in cui è arrivato in libreria...ma anche se qui chiacchiero volentieri di pagine, ricette e autori in questo caso temporeggiavo. Come se volessi pensarci bene, davvero bene, come se aspettassi qualcos’altro. Fotografie incantevoli, ricette perfette... autrice adorabile: ma da una settimana all’altra “Fragole a Merenda” pur se letto, riletto e amico fedele ormai infarinato nella realtà del mio cucinino rosa, non trovava il modo di arrivare fin qui sul blog. Ora invece non poteva più aspettare...ci ho pensato, e ho capito la cosa che mi mancava era il sorriso di chi è riuscita a scrivere 351 pagine (1,5 kg) di ricette e storie bellissime! Per caso, fortuna e curiosità sono riuscita ad andare alla presentazione (per ora l’unica) di questo libro molto particolare. Dietro a un blog che si fa libro, dietro alle trecce di racconti e ricette, dietro alle foto di mille ciotoline blu, di piatti sbeccati, dietro alle storie del fantasma Agostino, i restauri infiniti, le torte di nonna Papera, ho trovato il sorriso entusiasta e umile di una signora gentile che è riuscita nell’ardua impresa di conciliare la voglia di condividere la cucina con la propria riservatezza. Questa -solo apparente contraddizione- è Sabrine d’Aubergine … ragazza d’altri tempi, che ha frapposto tra sé e il mondo un delizioso nome de plume, senza per questo arrampicarsi su un personaggio inesistente o su finzioni letterarie. Come ho già scritto altrove vederla alle prese con una Brioches dispettosa è stata la conferma che Sabrine è esattamente la persona che da voce ai suoi racconti. Rispetto, anzi, condivido totalmente la scelta di uno pseudonimo, e la necessità di dividere la realtà da un web troppe volte curioso e impiccione... ma ho apprezzato infinitamente l’aderenza totale tra autore e personaggio! Il resto è poesia, e golosità. Godetevi il libro, le sue ricette e le sue storie!
Sabrine d'Aubergine

Ho scelto questa ricetta perchè è la prima che ho letto quando ho aperto il libro, e perché anche a me piace chiamare un piatto con il nome di chi me l’ha insegnato! Poi l’ho scelta perchè la sua storia -e quella di Brenda- mi ha commossa fino alle lacrime, e anche perché credo che se una ragazza trova una donna capace di prenderla per mano quelle due persone saranno unite per sempre. Infine l’ho scelta per Luisa, dolcissima sconosciuta conosciuta tra i libri grazie alla magia di questo libro: abbiamo cominciato a chiacchierare come se avessimo avuto un’amica comune... invece nelle nostre vite lontanissime l’unico trait d’union era tale Sabrine d’Aubergine piccola autrice di un grande blog delicato e profondo!Abbiamo chiacchierato per un pomeriggio intero scoprendo con emozione tante altre cose belle capaci di unire due lettrici curiose e golose: un’incontro così particolare si merita una ricetta migliore del Camogli dell’Autogrill che abbiamo mangiato sul marciapiede davanti al Salone. So che non ami molto i dolci... qui ci sono appena 20 g di zucchero, e volendo puoi anche non metterli!! Dedicati a te cara Luisa... e a tutte le chiacchiere tra amiche che scaldano il cuore!



"Scones di Brenda"
(ricetta ispirata al libro “Fragole a Merenda” di Sabrine d’Aubergine)

Ingredienti:
50 g di burro
1 uovo
150 ml di latte
300 g di farina bianca 00
2 cucchiaini di lievito per torte salate
20 g di zucchero semolato fine
un pizzico di sale fine

Procedimento:
-Tagliare il burro a cubetti e riporlo in frigorifero in modo che al momento di utilizzarlo sia freddissimo.
-Accendere il forno a 180° e posizionare la griglia in alto. Rivestire di carta da forno una teglia per biscotti.
-Sbattere l’uovo con il latte (con una frusta), tenendone da parte 2 cucchiai circa per spennellare gli scones prima della cottura.
-Setacciare in una ciotola la farina con il lievito, aggiungere lo zucchero e il sale mescolando bene. Unire i cubetti di burro freddi agli ingredienti asciutti e lavorare molto velocemente. Sarebbe necessario un attrezzo apposito...ma Sabrine consiglia di sostituirlo con la lama di un coltello: bisogna comunque sminuzzare il più possibile il burro cercando di ottenere una specie di crumble a grosse briciole (eventualmente passare alle mani)!
-Versare nella ciotola il mix di latte e uovo e mescolare velocemente con il cucchiaio finchè il composto sta assieme. Fermarsi appena il composto sta insieme, anche se non omogeneo.
-Rovesciarlo sul piano di lavoro e lavorarlo con delicatezza. Poi stenderlo con un matterello a un’altezza di circa 2,5-3 cm.
-Ritagliare gli scones con uno stampino (o con un bicchiere) e trasferirli sulla teglia per biscotti.
-Rimettere insieme i ritagli senza lavorarli troppo, e procedere fino a esaurire l’impasto.
-Spennellare gli scones con l’uovo tenuto da parte e infornare subito.
Cuocere per circa 15 minuti.
Servire caldi farciti di burro, marmellata, miele o sciroppo d’acero, yogurt e frutta fresca...con il té naturalmente.

Zuppa di fagioli con semi di finocchio

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Approfitto della giornata uggiosa per proporvi un piatto che sembrerebbe richiamare brume autunnali e primi freddi, non la quasi estate a cui ci affacciamo. In realtà io sono una grandissima fans delle minestre estive (sostengo che la freschezza delle materie prime migliori incredibilmente le ricette). Dopo aver quasi ucciso ladolcemetàcon con minestrone bollente il mese di agosto del nostro primo anno di vita insieme ho capito che basta farle intiepidire per adattarle al clima subtropicale delle nostre estati! Il fatto che bisogna anche cuocerle sul fornello, surriscaldando la cucina è un altro problema: tra me e me accarezzo l’idea di un “fornelletto sul balcone”... ladolcemetà giustamente fa orecchie da mercante, sottolinea l’ottima areazione della nostra cucina e insiste sul fatto che una sauna ogni tanto -magari aromatizzata al finocchio- fa anche bene!!!

Ritorno sull’argomento delle erbe aromatiche (fresche e secche). Qualche tempo fa mi sono incantata su un libro di Jamie Oliver in cui le prime pagine erano dedicate a una sorta di “dispensa minima” che è bene avere a disposizione per spaziare nel mondo dei sapori. Con questo progettino condivido la mia dispensa di sapori e ingredienti, e dopo il Basilico, passo ai Semi di Finocchio. Devo dire la verità, l’Anetolo (olio essenziale contenuto nella droga), va maneggiato con cura e parsimonia. Non amo molto quelle salsicce ai semi di finocchio o quei biscotti “anicini” dal sapore troppo marcato (l’anetolo è talmente forte che potrebbero mescolarci il cartone pressato e nessuno si accorgerebbe di mangiare una cosa non commestibile!). Detto questo i semi di finocchio sono un alleato prezioso per la mia cucina e per il tratto gastroenterico mio e di chi si siede alla mia tavola. Sì, questo è uno di quei casi in cui utile e dilettevole vanno a braccetto: le caratteristiche aromatiche di questa droga sono le stesse che la rendono amica del nostro intestino.
Insomma, semplifico ma la storiella è: la natura ci ha dato certi buoni alimenti, che però arrivati nel nostro intestino diventano pabulum per batteri produttori di gas, così ci ha dato anche i semi di finocchio che contengono anetolo e fencolo, dalle caratteristiche batteriostatiche, capaci cioè di contrastare disturbi dispeptici, metereoismo e spasmi intestinali.
Quindi alimenti come cavoli, cipolle, legumi, cereali, cavolfiori, castagne che producono una maggiore quantià di gas nel colon non daranno problemi se nei dintorni del pasto c’è qualche seme di finocchio... Sotto forma di infuso (freddo o caldo), oppure direttamente come aroma nella preparazione/cottura del piatto.

La ricetta di oggi è l’unione di due ingredienti che mi sono molto cari: i semi di finocchio selvatico di una piccola e deliziosa azienda siciliana (www.aziendamarino.it) e il “Fagiolo Cuneo I.G.P”. Questi semi di finocchio sono i più buoni che io abbia mai assaggiato... sarà perché chi li raccoglie lo fa con il sorriso ma sono davvero eccellenti! Così ho pensato di unire il loro profumo mediterraneo con un fagiolo un po’ montanaro: il fagiolo Cuneo. Coltivato in 183 comuni della provincia Granda ai piedi delle Alpi Marittime, dove la forte escursione termica lo rende molto pastoso e con un sapore delicatissimo.

“Zuppa di fagioli con semi di finocchio”

Ingredienti per 2 porzioni:
250 g di Fagioli Cuneo I.G.P lessati (sostituibili con borlotti, cannellini)
brodo vegetale (600/800 ml circa)
uno scalogno
½ gambo di sedano (meglio se con foglie verdi)
2 spicchi di aglio
olio extravergine di oliva“Azienda Agrobiologica Marino”
sale pepe nero

Procedimento:
- Se partite dai fagioli secchi occorre cominciare a pensare a questa ricetta la sera precedente: mettere a bagno i fagioli in acqua fredda e lasciarceli tutta la notte. Il giorno seguente sciacquare i fagioli, metterli in una casseruola capiente, coprirli d’acqua e farli sobbollire dolcemente per circa 50 minuti. Se usate i fagioli freschi (meglio appena sgranati), coprirli di acqua fredda (senza aromi e senza sale) e dal momento dell'ebollizione farli cuocere dolcemente per circa 45 minuti (devono essere teneri ma non sfaldasi). Se usate i fagioli in scatola presto fatto: aprire, scolare e sciacquare bene i fagioli ;-)
-Mettere i fagioli bolliti in una pentola (meglio se di coccio smaltato), insieme a uno scalogno diviso a metà e a mezzo gambo di sedano. Coprire il tutto con un buon brodo vegetale caldo (io lo faccio con il mio dado veg che trovate qui). Occorreranno tra i 600 e gli 800 ml di brodo. Iniziare con 600 ml, poi eventualmente se ne può aggiungere altro dopo. Accendere il fornello a fuoco dolce.
- Nel frattempo in un mortaio (o in una scodellina) pestare due spicchi d’aglio pelati e tagliati a metà con mezzo cucchiaino di semi di finocchio. Bisogna ottenere una pasta verdina e profumatissima.

-Aggiungere questo "pesto" aromatico ai fagioli, mescolare bene con un cucchiaio di legno e fare sobbollire per circa 20 minuti (o comunque sino a che i fagioli non siano ben cotti). La zuppa deve essere sempre piuttosto liquida, quindi eventualmente aggiungere brodo caldo.
-Condire con sale, e un pizzico di pepe nero e servire in piccole scodelle con un filo di olio extravergine d’oliva. É ideale anche tiepida, mentre facendola asciugare più si ottiene un buon contorno, ottimo accompagnamento per spezzatino di maiale.
(Volendo rendere più sostanziosa il piatto si può mettere nella scodella una fetta di pane rustico appena tostato e strofinato con aglio).


Tortino alle albicocche in vasocottura (torta in barattolo)

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Visto l’interesse che ha suscitato il mio post sulla tecnica dellavasocottura torno sull’argomento con una nuova ricetta per la "vasocottura in forno a secco". Si tratta di un dolce soffice “in barattolo”, arricchito dalla frutta fresca, che il contenitore in vetro rende particolarmente versatile. Se si vuole servire il dolce per una golosa merenda casalinga i celebri vasetti con guarnizione e ganci andranno benissimo (magari si può aggiungere un ciuffo di panna fresca). Se invece si vuole preparare una dolcino “trasportabile e conservabile” -da pic nic- sono decisamente meglio i classici barattoli di vetro per la marmellata con tappo a vite (tipo i Bormioli). Chiudendoli appena usciti dal forno otterrete una deliziosa “tortina in barattolo” sottovuoto fragrante come appena sfornata anche dopo una settimana.



1.anche se nel web vanno per la maggiore “torte in barattolo” in vasetti stretti e alti (molto fotogenici) l’esperienza mi porta a dire che queste tortine cuociono meglio in barattolini larghi e bassi che invece migliorano la cottura.
2. Non conviene utilizzare barattoli troppo piccoli (150 ml) perchè non garantiscono la riuscita del sottovuoto!
3.Questa ricetta vuole essere una semplice traccia: ho usato farina autolievitante, anche se non la amo molto, perchè ne avevo un paccheto iniziato: potete sostituirla con comune farina 00 +5 g di lievito per dolci. Anche la frutta è sostituibile a piacimento, così come la confettura.
4.Ovviamente se fate queste tortine per conservarle i barattoli dovranno essere pulitissimi e sterilizzati (coperchi compresi).
5. Occorre fare particolare attenzione ai coperchi, se si usano barattoli “di recupero” le capsule devono essere un buona salute (cioè non devono essere state “forzate” con una forchetta), prive di odori e macchioline di ruggine.
6. Sulla durata delle tortine ci sono pareri discordanti: c’è addirittura chi parla di 6 mesi...ma io sono per un “massimo 5 giorni fuori frigo”.

"Tortino alle albicocche in vasocottura"
 (Torta in Barattolo)

Ingredienti per 6 vasetti da 290 ml:
150 g farina autolievitante
120 g zucchero di canna
120 g di albicocche
70 g di confettura Albicocche&Lamponi Albergian
100 g di yogurt bianco intero
80 g di burro (+ quello necessario i vasetti)
i semi di ½ bacca di vaniglia
zucchero a velo per servire

Procedimento:
-Lavare e pelare le albicocche, tagliarle a pezzettini e metterle in una ciotola. Mescolarle con i 70 g di confettura di albicocche/lamponi e lasciare riposare il composto.
-Accendere il forno e portarlo a 150°.
-Tagliare il burro a dadini e farlo fondere in un pentolino.
-Con una frusta montare le uova e lo zucchero, unire lo yogurt, i semi di vaniglia, il burro fuso, e la farina setacciata. Infine con un cucchiaio unire delicatamente il composto di albicocche e confettura.
-Fondere un altro pezzetto di burro e con un pennellino imburrare con cura i vasetti sterilizzati e ben asciutti. Riempirli di impasto per circa metà della loro capienza.
-Infornare a 150° per 35/40 minuti.
-Sfornare il dolce e chiudere immediatamente i vasetti. 


Con questa ricetta partecipo a Stagioniamo "facciamo un pic nic", sezione dolci con l'ingrediente di stagione Albicocca:

http://www.coffeemattarello.com/2015/04/facciamo-un-picnic-raccolta-ricette-stagioniamo-ricette-per-picnic.html
 

Latte di cocco homemade e Cocco Brulé

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Eccoci giunti al consueto appuntamento con il nostro contest!!!Vado dritta al sodo perché so che siete sempre di più e sempre più curiosi di sapere chi si aggiudica l’ambita coccarda per il mese appena trascorso in compagnia di #Sedici_fruttatifreschi. Dunque le due ricette vincitrici sono: “Petto d’anatra marinato al caffè con ciliegie al vino rosso” di Caterina del blog BonBonLavande, e il “Carpaccio di pesce spada con citronette alle ciliegie” di Paola del blog Le mie ricette con e senza. Da un lato il gusto coraggioso e avventuriero di un piatto davvero originale e dall’altra la freschezza tutta estiva delle cose semplici. Che dire? Stravincono le ciliegie e le marinature! Bravissime!



Sinceramente io e le mie cinque care colleghe di ventura siamo come bimbette con il naso schiacciato su una vetrina di dolciumi davanti alle vostre fantasiose creazioni. Sedici è un modo interessante per leggere, condividere, imparare...e ogni 15 del mese ci troviamo a tirare le somme, sempre più entusiaste e convinte che questa sia una bella, bellissima idea per crescere insieme. Grazie di cuore...Sarete felici di sapere la prossima famiglia del mese ha il sapore meraviglioso dei Fruttati cremosi!

Ora la mia dolcemetà, che ha assistito brontolando alla nascita/organizzazione di questo contest (borbottava cose come « saranno 16 luunghi mesi ») ora è stato avvistato con la "Grammatica dei Sapori" in mano. Se all’inizio subiva le mie scelte e le mie idee ora ha capito che è moolto più saggio partecipare: Sedici non lo coglie mai impreparato, e al momento giusto suggerisce addirittura l’ingrediente e il piatto da proporre. Insomma, con nonchalance ha trovato il modo di estorcere a cadenza mensile un bel piattino al 100% di suo gusto. Non nego che la scelta del Cocco nella famiglia dei fruttati cremosi è una sua richiesta. Così lieve e poco pressante che alla fine l’ho accontentato. Io avrei veleggiato altrove, ma alla fine sono contentissima di averlo ascoltato! Dopo vi racconto perché...ma prima allego gli abbinamenti consentiti dalla Segnit per il Cocco e le proposte delle mie amiche Alchimiste.

Abbinamenti di Niki segnit per il Cocco:
Cocco&Acciuga; Cocco&Ananas; Cocco&Aneto; Cocco&Anice; Cocco&Arachide; Cocco&Banana; Cocco&Barbabietola; Cocco&Basilico; Cocco&Cannella; Cocco&Cardamomo; Cocco&Carota; Cocco&Ciliegia; Cocco&Cioccolato; Cocco&CioccolatoBianco; Cocco&FogliediCoriandolo; Cocco&Fragola; Cocco&FruttidiMare; Cocco&Lampone; Cocco&Lime; Cocco&Limone; Cocco&Maiale; Cocco&Mandorla; Cocco&Mango; Cocco&Manzo; Cocco&PeperoncinoPiccante; Cocco&PesceAffumicato; Cocco&PesceBianco; Cocco&Pollo; Cocco&Uovo; Cocco&Vaniglia.

Come specifica la Segnit per Cocco si intendono: latte di cocco, il latte di cocco in polvere, l'acqua di cocco o siero, la crema di cocco, il cocco disidratato, il cocco in fiocchi, la farina di cocco, il cocco rapé, l'estratto di cocco e il liquore Malibù.

La famiglia dei Fruttati Cremosi si divide così (visitate i blog delle mie compagne di ventura per conoscere tutti gli abbinamenti e le nostre interpretazioni):

Banana
“Mini BananaBread con ganache alla liquirizia”
Melone
"Perle di Melone e mandorle su crema pasticcera"
Albicocca
“Cantucci albicocca e cioccolato fondente”
Pesca
“Bruschetta al prosciutto crudo con ricotta e pesche grigliate”
Cocco
Io
Mango
"Crostata Morbida con crema al profumo di mango e lime"

Ancora qualche info tecnica:
-si gioca dal 16 giugno al 13 luglio 2015.
-qui trovate il regolamento completo di #Sedicie qui la pagina Fb a cui iscriversi.
-ricordatevi di specificare con chiarezza l’abbinamento che intendete interpretare con la vostra ricetta e di esporre il banner nel post.
-si può partecipare con UNA sola ricetta appositamente creata e fotografata per #Sedici e solo con uno degli abbinamenti della “Grammatica” (sappiamo che ve ne vengono in mente molti altri, ma, per quanto -parziale e soggettiva- noi seguiamo come una Bibbia la classificazione di questo libro).

                                                         ***
Ora torniamo alla noce di cocco. Per me e per il buon uomo che metto sempre alla berlina su queste pagine rappresentava il frutto esotico per eccellenza. Lui, pur con trascorsi da grande viaggiatore, aveva mangiato 2 o 3 cocchi freschi nella sua vita, io qualcuno di più, sempre a Natale, sempre nel cestino dei datteri, fichi secchi e noccioline, ma come tale aveva l’aura di frutto proibito. Per farla breve io il cocco non l’ho mai degnato di uno sguardo... avevo l’idea che fosse SEMPRE fuori stagione, sempre costoso, e sempre complicato (soprattutto da aprire). Grazie a #Sedici ho scoperto che il cocco è uno dei pochi frutti a non avere una sua stagionalità, matura costantemente tutto l’anno, e udite udite, per un miracolo economico che proprio non mi so spiegare costa decisamente meno di qualunque frutto di stagione a KM0!! (mediamente siamo sui 1,99 euro al kg, cioè circa 1 euro a noce). Dopo questa eclatante scoperta io e ladolcemetà ci siamo già comprati e sbaffati ben 4 cocchi. Il frutto proibito della nostra infanzia costa meno delle fragole a maggio, ci piace tantissimo e con il caldo è davvero una gran golosità! Faccio, quindi, pubblica ammenda e mi ricredo sulle buone intenzioni del mio compagno di vita, di cucina e di letture (dai... lo so che la "Grammatica dei sapori" ti piace quasi quanto i tuoi tomi di storia antica...)!

Visto l’entusiasmo suscitato da questo ingrediente la ricetta è doppia: prima un fresco Latte di Cocco e poi un bel budino caramellato!! Questo Brulé di Coccoè una ricetta 100% Segnit. Di mio ci ho aggiunto esclusivamente la vaniglia e la crosticina da creme brulé. Devo dire che interpreta in senso letterale l’abbinamento “Cocco&Uovo”. Io sinceramente non amo molto il sapore dell’uovo tout court...per cui in altra occasione sarei scesa a 3 uova ...ma ho voluto provare ancora una volta a seguire l'autrice, e devo dire che il risultato è molto interessante, e comunque apprezzato anche da me! “Onctueux” direbbero i francesi...tra il cremoso e il voluttuoso direi io!

 
“Latte di cocco homemade”

Ingredienti:
180 g di polpa di cocco (equivale alla polpa di un frutto piccolo)
360 g di acqua a 45/50°

Procedimento:
-Bucare con un punteruolo le tre fossette scure della noce di cocco, capovolgerla su un bicchiere e fare colare tutto il latte. Filtrarlo e metterlo da parte, volendo si potrà utilizzare mescolandolo all’acqua nel passaggio successivo.
-Rompere la noce di cocco (non voglio essere responsabile delle vostre dita fracassate, per cui cercate il vostro metodo...ma siate consapevoli che ognuno, dal fruttivendolo a WikiHow, hanno la loro sacra verità a riguardo!). Separare il guscio legnoso dalla polpa, e con un coltellino eliminare la pellicina dura e marrone che la ricopre. Sciacquare rapidamente sotto l’acqua, tagliarla a pezzetti e pesarne 180 g.
-In ogni caso considerare una dose di polpa ed esattamente il doppio di acqua. Mettere la polpa nel bicchiere del frullatore, coprire con 360 g di acqua a 45° e frullare procedendo a impulsi.
-Lasciare riposare il composto per almeno 30 minuti.
-Mescolare e trasferire il liquido in un filtro. Avevo pensato di usare un semplice canovaccio in un imbuto...poi ho avuto l’illuminazione del mio parigino “Filtro à Cafè” con tanto di filtri bio di carta per liquori, quindi ho usato quello e mi son trovata benissimo.

-Lasciare scolare lentamente, si avranno un’ottimo latte di cocco (con queste dosi circa 350 ml) neutro e gustoso, e una bella tazza di polpa umida per torte o biscotti.

Leggo su diversi siti che lo stesso latte si può produrre anche a partire dalla farina di cocco, (qui un esempio, ma è in francese). Il latte di cocco comunque è relativamente facile da trovare, specialmente nei negozi etnici, anche se spesso contiene addensanti! Esiste anche un buonissimo latte di Cocco Equo e Solidale... quindi se non avete tempo e dovete comprarlo cercatelo nelle tantissime botteghe eque sparse per l’Italia.



“Brulé di Cocco”

Ingredienti:
100 g di zucchero di canna grezzo chiaro (casonade)
4 uova
250 ml di latte di cocco
½ bacca di vaniglia

Procedimento:
-Accendere il forno e portarlo a 180°.
Con la frusta montare in una terrina le 4 uova con i 100 g di zucchero. Incorporare gradatamente i 250 ml di latte di cocco, e aromatizzare con i semi di mezza bacca di vaniglia.
-Trasferire il composto in 4 stampini di porcellana e disporli in una teglia rettangolare (tipo lasagnera). Versare nella teglia l’acqua bollente necessaria a coprire per 2/3 le pareti degli stampini. 

-Fare cuocere in forno a 150° per 40 minuti.
-Estrarre dal forno, e poi dalla teglia. Spolverizzare di zucchero di canna e caramellare con un cannello prima di servire (è buono anche freddo!). La crosticina bruciacchiata e croccante sarà un delizioso contrasto all’intenso sapore di Cocco&Uovo di questo budino.






Sagne ‘nco le sagne fritte

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Esistono millemila tipi di cucine interessanti e meritevoli di attenzioni&papille! Curioso volentieri sui fornelli stellati, nelle riviste di cucina, e nelle trasmissioni TV (per quanto assurde). Ho un monte ore gigantesco di video/ricette su you-tube in qualunque lingua e 5 librerie -in tre case diverse- sovraccariche di ricettari&C. (da quelli storici a quelli assolutamente essenziali passando per la veritàdifede dell’ultimo chef di grido).
La mia barra laterale dei segnalibri sul pc andava verso l’infinito e oltre, fino a che un’anima pia mi ha fatto capire che potevo creare delle cartelle in cui organizzare i segnalibri. Anche così comunque la catalogazione delle “cose di cucina” interessanti spulciate a zonzo nel web ha un che di babelico e immenso. Sono curiosa... assaggio, studio, copio, rifaccio, fallisco, ritento, guardo, imparo e sorrido. “Croquer le Monde” dicono i francesi. E io assaggio davvero con gusto questo bizzarro mondo!
Il cuore di questa insaziabile curiosità però è (e sarà sempre) la“cucina di casa”. Casalinga, domestica, famigliare, rustica, maison, sono aggettivi che attraggono magneticamente l’ago della bussola Betulla. Le costellazioni di storie, significati e sapori che questa cucina evocano sono la mia fascinazione. É una cucina bassa, di sostanza, di necessità e soprattutto di donne. Di sicuro non era destinata alla posterità, ai ricordi gloriosi della carta, o alle minute dei ristoranti. Eppure sopravvive ... in ogni parte del mondo c’è una "cucina femminile" nata intorno al fuoco e al senso profondo del nutrire. Memoria antica, ostinata e coraggiosa. E cucina antica, ostinata e coraggiosa. Ci penso ogni volta che vado in cantina a prendere il mattarello da 1 metro per le sagne, e ogni volta che ascolto mia mamma raccontare di sua nonna che tutti i santi giorni, alle 11.30 del mattino metteva il paiolo di rame a bollire sul fuoco del camino e cominciava a far la pasta per il pranzo.

Ammiro sempre l’ingegnosità di questo piatto poverissimo, che riesce, nella sua semplicità, ad esaltare davvero i due prodotti straordinari che lo compongono: il grano e l’olio extravergine abruzzesi!


“Sagne ‘nco le sagne fritte”

Ingredienti per 6 persone:
400 g di semola di grano duro (+ quella per la spianatoia)
200 g di farina di grano tenero 00
acqua, olio extravergine di oliva, sale qb

N.B: per fare questa pasta sarebbe consigliato utilizzare il tradizionale mattarello abruzzese da 1 mt. Gigantesco, lo so, ma utilissimo anche da brandire come arma di difesa personale!


Procedimento:
Setacciare le due farine sulla spianatoia formando una fontana. Aggiungere un pizzico di sale, acqua fredda sufficiente a impastare. Lavorare a lungo ed energicamente la pasta sino ad avere un impasto liscio e uniforme. Infarinare nuovamente con cura la spianatoia e il tradizionale mattarello di 1 metro. Stendere la sfoglia sottilissima, infarinandola di continuo e arrotolandola direttamente sul mattarello (il peso di quest’ultimo contribuirà a stendere la pasta). Quando la sfoglia sarà abbastanza sottile (il disco diventerà grande quanto il piano di un tavolo rettangolare per 4 persone) arrotolarla molto stretta sul matterello e con un coltello affilato fare un taglio nel senso della lunghezza. Si otterranno così diverse sfoglie tutte della medesima larghezza. Tagliare con un coltello delle sagnette (spolverizzarle sempre con semola abbondante). Ridurre una o due manciate di sagnette in piccoli quadratini. Mettere a bollire l’acqua salata per la pasta. Nel frattempo versare un dito di olio extravergine in una padellina antiaderente (sarà l’unico condimento della pasta quindi non deve essere né scarso né troppo abbondante). Scaldarlo bene, poi friggerci le due manciate di sagne a quadretti. Farle appena colorire poi spegnere il fornello. Cuocere le sagne in acqua bollente per pochi minuti, scolarle (ma non troppo – nel senso che conviene lasciarle un po’ brodose) e trasferirle in una terrina da portata capiente. Rovesciarvi sopra i quadratini fritti e l’olio. Mescolare con un forchettone di legno e servire!

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Ultimamente nel mondo dei blogger è tramontata la moda delle foto dei vari passaggi della ricetta. Anzi è quasi disdicevole un blog con troppe foto. Così siamo passati da sette foto della planetaria con zucchero e uova dentro a una sola una foto bellissima del piatto finito (se i passaggi sono ardui peggioperchilegge!). Va bhe, sono mode. Dato però che io e la mia mamma ci siamo infarinate da capo a piedi per questa ricetta me ne infischio delle "tendenze" e pubblico  la ricetta illustrata: le Sagne in 11 foto!!! e vissero tutti felici&contenti!
p.s: grazie Mamma per le tue belle manine in posa!



Visitandines

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La mia amica Cristina del blog “Coccole di Dolcezza” ha intrapreso, da qualche anno direi, una furiosa guerra contro i bianchi d’uovo. Fine pasticcera la dolce donzella si trova sempre con dosi galattiche di albumi che stazionano apatici nel suo frigorifero. Meringhe, financiers, macarons, lingue di gatto e di suocera, gateau capucine, gateau concorde, mousse, sorbetti e gelatine: Cristina le ha provate tutte per smaltirli...ma i pallidi si accumulano senza sosta. Tanto che alla fine ha deciso di trasformare la sua solitaria battaglia in una bagarre collettiva, e il suo “incubo albumi” è diventato un contest simpaticissimo.
Ovviamente avrei voluto perorare la causa con gloria e onore, condividendo cioè quelle mie 4/5 ricette talmente “albumose” che sembrerebbe impossibile non correre a comprare una bottiglia di albumi pastorizzati al supermercato! (Tranquilla Cri, ho detto quasi...qui gli albumi si sgusciano non si comprano nudi)! Siccome però i miei progetti sono stati rallentati da una serie di accidenti curiosi, mi ritrovo sullo scadere del contest con una sola ricetta pronta. Ho pensato: meglio una sola ma buona! Niente di nuovo sul fronte occidentale, ma almeno ho risposto al dovere morale di far sentire la cara Cristina meno sola. Come vi racconterò non è l’unica donna a essersi lambiccata il cervello in cerca di ricette a base di soli albumi!

Dunque, partiamo dal nome del dolce: Visitandines. Le Visitandines sono in realtà le suore dell’ordine della Visitazione di Maria fondato nel 1610 da San Francesco da Sales e Santa Jeanne Françoise Frémyot Chantal a Annecy in Savoia.
Apro una piccola parentesi storica e un po’ femminista per sottolineare l’originalità di questo nuovo ordine che accoglieva senza remore anche vedove, donne cagionevoli di salute o disabili, cosa affatto scontata negli altri ordini. Ispirate dall’episodio di Maria incinta di Gesù, che va a visitare la cugina Elisabetta a sua volta in attesa di Giovanni (il Battista), le suore dell’ordine avevano l’abitudine di anteporre al loro nome la sigla V.S.M, e cominciarono così ad essere chiamate Visitandines. Nel XVII secolo, la comunità monastica delle Visitandines di Nancy, in Lorena, inventò questi particolari dolcini proprio per smaltire l’incredibile eccesso di albumi che intasava le cucine del monastero. Le monache, infatti, erano dedite ad una serie di lavori di pittura (miniature, decorazioni di reliquiari, pittura su seta...) per cui erano necessari esclusivamente i tuorli d’uovo. Le tempere all’epoca, si ottenevano miscelando proprio polveri di colori ad un legante come il tuorlo. Naturalmente sarebbe stato un delitto gettare tanti albumi, e nacquero così le Visitandines, soffici dolcetti antichi caduti oggi quasi in disuso (si trovano comunemente solo nelle pasticcerie della città insieme ai Macarons di Nancy, anch’essi inventati dalle suore per la stessa necessità). Se non che nel 1890 tale Lasne, pasticcere con bottega a Parigi accanto alla Borsa, ne riprende in mano la ricetta, e inventa i celeberrimi Financiers...ma questa, cari amici è un’altra storia...e un altro post!

La forma classica delle Visitandines dovrebbe essere quella a barchetta...ma ormai anche tonda o a ciambellina! Io le trovo particolarmente indicate per il thè o il caffè del pomeriggio...l’idea delle suore artiste e creative con pennelli e fornelli, me le rende particolarmente simpatiche... senza contare che la ricetta è collaudatissima, adatta a molte personalizzazioni (al posto di Vaniglia&Limone ogni tanto faccio Vaniglia&Bergamotto -olio essenziale-, o Menta, o Acqua di fiori d’arancio)!

Cara Cristina...per te quindi un dolce perduto, un po’ di Storia... e tutta la mia solidarietà nella tua “questione privata” contro gli albumi!

Con questa ricetta partecipo al contest di Coccole di dolcezza - "Albume...che guerra sia !"

http://coccoledidolcezza.blogspot.it/2015/05/il-mio-terzo-contest-albumeche-guerra.html
 

“Visitandines”

Ingredienti (per 36 visitandines):
4 bianchi d’uovo*
150 g di burro
125 g di zucchero semolato
125 g di mandorle in polvere
40 g di farina 00
la scorza di mezzo limone bio
i semi di mezza bacca di vaniglia

*dato che un albume pesa mediamente 35/ 40 g calcolare 140/160 g di bianco d'uovo.
 
Procedimento:
-Tagliare il burro a dadini e farlo fondere a fiamma dolcissima. Montare a neve uno solo dei quattro bianchi d’uovo e riporlo coperto in frigorifero.
-Preriscaldare il forno portandolo a 180°. Imburrare gli stampini -sono perfette le teglie per mini-muffin-.
-Mescolare in una terrina capiente lo zucchero e le mandorle in polvere. Aggiungere la farina setacciata, e uno alla volta i tre bianchi d’uovo. Poi unire, sempre mescolando, il burro tiepido e gli aromi. Infine aggiungere anche il bianco d’uovo montato a neve.
-Aiutandosi con un cucchiaio mettere una piccola quantità di composto nelle formine sino ad esaurirlo.
-Infornare per 8/10 minuti: le tortine dovranno essere dorate e gonfie all’esterno e umide all’interno.
-Toglierle dagli stampini ancora tiepide ed eventualmente spolverizzarle con zucchero a velo non vanigliato!

Pomodori ripieni di magro di Mère Brazier

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Le biblioteche sono una risorsa. Sempre. Infatti dove sono andata io per far passare la mattinata necessaria al meccanico per aggiustarmi la macchina? In biblioteca! E indovinate un po’ cosa ho scovato? Un bellissimo librino da suffragetta della cucina! Dai, diciamoci la verità...nessuno pensa mai che le biblioteche civiche abbiano anche la sezione gastronomia! E invece ce l’hanno...così come hanno di sicuro un libro che risponde ai vostri interessi più strambi. Gratis. Per 15 giorni. Prorogabili. Lo spot non è ancora finito: a costo di dire l’ovvio preciso che esistono due cose meravigliose una è il SBN (sistema bibliotecario nazionale) che cerca per voi un libro nei cataloghi di tutte le biblioteche d’Italia, l’altro è il prestito interbibliotecario, cioè un servizio comodissimo che con un costo irrisorio porta (quasi) qualunque libro nella vostra biblioteca sotto casa. Insomma gente...tutto questo è roba nostra.Sfruttiamo i servizi che il nostro bel paese ci offre. E invece di piagnucolare sul costo dei libri leggiamo quelli che possiamo avere gratis!

Detto questo, e cioè che CHI LEGGE VOLA, passiamo alla mia buona, buonissima lettura. 
 Buone Letture (con ricetta):

Eugenie Brazier e le altre.
Storie e ricette delle madri dell'alta cucina.
Maldolesi Alessandra
Le Lettere 2008
16,50 euro

 ***
 
Come ricordavo nel post sulle Sagne, esiste una “cucina di casa”, domestica e famigliare. Non è una novità che questa cucina “da focolare” tutta femminile, si contrapponga da sempre a ad una cucina alta, professionale, di successo e maschile. Il paradigma va avanti immutato da secoli: noi oggi idolatriamo chef uomini che vanno in tv a prendere in giro anche il “modo femminile” di salare le pietanze (Cracco docet) ma le donne vere ai fornelli, (e non parlo di quelle che cucinano con i tacchi, lo smalto e il tubino nero) non se le fila praticamente nessuno. Fate una prova. Chiedete agli amici il nome di qualche grande cuoca. Nadia Santini. E poi? Magari Viviana Varese, sull’onda di Alice e dell’annesso programma tv su Real Time. E poi? Marianna Vitale, Antonia Klugmann, Helena Rizzo, Cristina Bowermann. E poi? Finito. Non sappiamo neanche bene come definirle. Chef, singolare, maschile. In generale chef è il capo cuoco di un ristorante. Se lo usi per un uomo, chef basta e avanza. Anzi, già veleggi sul raffinato, perché la parola è francese e indica comunque un minimo di ricercatezza e abilità nel cucinare. Per declinarlo al femminile però devi aggiungerci "donna", che altrimenti non ti capiscono. Chef donna. Allora già c’è qualche cosa che non va. Chef è una parola maschile per indicare uomini. Per le donne si usa cuoca. Che comunque è riduttivo, dicono. Al limite del dispregiativo, per molti. Quindi? Quindi se anche il linguaggio non esprime altro che differenze continueremo -credo per molto- a vivere in un triste mondo diviso tra grandi incensati chef e sconosciute cuoche (la semantica non è un’opinione)!
C’è stato un tempo, o meglio, un piccolo angolo di Storia, in cui questa ridicola dicotomia di genere ha smesso di esistere. C’è stata in Francia (e questo libro lo racconta) una felicissima parentesi nei primi anni del Novecento, in cui un manipolo di donne ha calcato in trionfo le scene delle cucine professionali, ha ammaliato la critica e stregato per sempre l’opinione pubblica. Quasi tutte avevano iniziato come semplici domestiche, poi per incentivare l’attività dei loro mariti, commercianti di vino, erano diventate scaltre imprenditrici della ristorazione. Le chiamavano “les Mères”, forse perchè accoglievano i clienti con affetto e familiarità, comme chez soi. Oppure, mi piace pensare che l’appellativo della vox populi (vox Dei) avesse riconosciuto in anticipo il ruolo archetipo che queste signore avrebbero avuto nella storia della gastronomia francese.
La progenitrice di tutte le Madri era stata Mère Guy, che tra il 1759 e il 1801 aveva animato un pionieristico localino sulle sponde del Rodano, dove i lionesi, la domenica, accorrevano a frotte per mangiare la sua rinomata matelote (lo stesso Rousseau, vi si sarebbe attardato -consumato flâneur-per spezzare le lunghe passeggiate nell’ansa bucolica del grande fiume). Precisiamo: 1759, Madame Guy ha anticipato l’istituzione stessa dei ristoranti, collocata dagli storici all’indomani della Rivoluzione francese.
Ristorante di Mère Guy
Di lei sappiamo pochissimo, se non che le anguille della Saona (l’altro fiume di Lione) non potevano aspirare ad una fine più gloriosa delle sue pentole. Alla sua morte due nipotine raccolsero il testimone: Génie e Madame Maréchal. Proprio Génie passo alla storia come Mére Guy. I chroniqueurs raccontano di una donna colorita, capace di intrattenere con brio l’alta società (anche l’imperatrice Eugénie si fermava dalla Mère quando andava alle terme di Aix-les-Bains). Ci furono poi la Mère Brigousse, celebre per trote e lucci a Charpennes dal 1830 al 1859. La Mère Pompon, specializzata nell’anatra all’arancia. La Mère Bijean, che in rue d’Algérie serviva sogliole al gratin, filetti con patate e spinaci in cocotte.
Mère Bourgeois ai fornelli.
La Mère Bourgeois, che dal 1933 al 1936 guidò un ristorante celebrato dalle tre stelle Michelin...e un po’ fuori zona c’era anche Mélanie Rouat, che, con i suoi incredibili colletti di pizzo e trine, animava un cenacolo di pennelli e fornelli sulla costa bretone. Ma la più famosa di tutte era Eugénie Brazier la “santa dei gastronomi”, che negli anni Trenta fece incetta di stelle Michelin, addirittura sei a incoronare i suoi due ristoranti lionesi (uno in rue Royale, l’altro sul Col de la Luère), un exploit fin’ora eguagliato solo da Alain Ducasse e Marc Veyrat per brevi periodi della loro carriera.
Ritratto di Mélanie Rouat
Nessuna di loro aveva avuto una formazione regolare di una qualche natura accademica: le scuole di cucina all’epoca neanche esistevano, ad eccezione di qualche corso per donne ricche come la scuola del Cordon-Bleu o le lezioni del medico igienista E.Pozerski De Pomiane. Le Mères però non erano semplici autodidatte, erano allieve di un’altra scuola, una scuola antica, tramandata a voce, tra i vapori della cucina, di madre in figlia, di Mères in discepola, di donna in donna... come ha scritto Piero Camporesi “dimostrando, se occorresse, che la cucina è la più antica forma di cultura popolare, per eccellenza orale”. Le loro vite sono appassionanti come romanzi, sono storie di cuoche-suffragette, capaci di trasformare la “maledizione tutta femminile dei fornelli” in una straordinaria leva di emancipazione sociale, fino alle luci gloriose del bel mondo, fino ai vertici della professionalità, fino ai toquesdei colleghi maschi, e più in alto ancora, naturalmente.
La maggior parte della loro forza risiedeva nella conoscenza e nella scelta di prodotti del territorio, favorita dalla collocazione di Lione in un crocevia fortunato di materie prime eccellenti. Avevano lavorato quasi tutte a servizio presso famiglie borghesi, dove niente a tavola era eccessivamente bello, per cui les Mères cucinavano con grande semplicità, ma anche con grande rigore. Avevano imparato tutto da un’altra donna, da un’altra Mère che aveva insegnato loro ogni cosa, ogni trucco, ogni segreto dei fornelli. Come ricorda Nadia Santini nella sua bella prefazione: «non avevano la tecnologia né tutto il sistema di sicurezza alimentare di cui possiamo disporre oggi. Eppure hanno mantenuta viva un’arte attraverso i passaggi storici durissimi della Grande Guerra, e di quella ancora più cruenta e atroce arrivata solo vent’anni dopo. Ci hanno insegnato che la passione è un valore immenso, è energia vitale. La passione genera curiosità, voglia di imparare da chi sa e scoprire così il valore della storia e della memoria».
Insomma, questo è un libro bello, di vite appassionate, di ricette curiose (magari un po’ desuete come il Cotriade, o i Fondi di carciofi ripieni di foie gras), e di uomini e donne innamorati della cucina. Sì, perché giusto per contribuire -nel mio piccolo- a livellare le differenze di genere che aleggiano sulla cucina, specifico che di queste donne straordinarie non avremmo saputo nulla, se il più grande gastronomo di Francia, tale Curnonsky, al secolo Maurice-Edmonde Sailland, non si fosse invaghito follemente della cucina borghese e semplice di queste coraggiose signore lionesi. Allo stesso modo Paul Bocuse (solo per citare uno dei tanti uomini stellati con debiti nei confronti di donne, mamme o nonne cuoche) non sarebbe diventato quel mito vivente che è senza l’apprendistato nella cucina di Eugénie « era una cucina rigorosa, una cucina femminile, insomma, piuttosto elementare, ma sono i piccoli dettagli che fanno le grandi differenze. Sul mio menù c’è scritto:“quanto è difficile essere semplici”. È una frase di Van Gogh, ma si addice benissimo alle Mères».

Mère Brazier nella sua cucina

“Pomodori ripieni di magro di Mère Brazier”

Questa ricetta è liberamente ispirata a quella della Mère indicata nel libro, dato che l’originale prevederebbe 100 g di cicoria o osella, ovvero acetosella. Siccome questa Oseille ha tormentato senza entusiasmi i pasti della mia vita parigina, ho deciso di sostituirla con qiualche fogliolina di basilico, più mediterranea ed estiva. Lo stesso dicasi per le proporzioni tra gli ingredienti, per cui ho aggiustato il tiro a mio gusto.

Ingredienti:
6 pomodori grandi
zucchero a velo
2 uova
50 g di pane raffermo
1 spicchio d’aglio
6/7 foglie di basilico
2 dl di crème fraîche
pangrattato, burro, olio extravergine d’oliva, sale, pepe nero q.b

Procedimento:
-lavare i pomodori, asciugarli e scoperchiarli. Eliminare l’interno con un cucchiaino e spolverizzarli con zucchero a velo. Sistemarli quindi su una pirofila unta (compresi i coperchi, ma a lato), e infornare per 15 minuti a 210°. Girarli su un tagliere coperto di carta scottex, in modo che rilascino il loro liquido.
-Preparare le uova sode bollendole per 12 minuti in acqua bollente. Raffreddarle immediatamente in acqua fredda, poi sgusciarle e tenerle da parte.
-Mettere il pane raffermo a bagno in acqua fredda e lasciarlo ammorbidire per almeno 10 minuti.
-Lavare e asciugare le foglie di basilico, poi tritarle finemente con lo spicchio d’aglio.
-In una terrina schiacciare con una forchetta le uova sode, unire il pane ben strizzato e fatto a pezzetti molto piccoli, il trito di basilico e aglio e la crème fraîche. Mescolare bene, fino ad avere un composto omogeneo. Poi condire secondo i gusti con sale, pepe nero e un cucchiaio di olio d’oliva.
-farcire i pomodori con il composto e ricoprirli con il loro coperchio. Spolverizzarli di pan grattato e piccoli fiocchetti di burro. Infornarli a 180° per 45 minuti.

Flammkuchen o Tarte flambée à l’alsacienne

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Oggi ricetta di sostanza. Non che l’apparenza sia proprio raccapricciante, ma non ho avuto il tempo di mettermi a fotografare con luce naturale e grazia questa Flammkuchen (o tarte Flambé che dir si voglia). Non mi sono impegnata per rendere esteticamente appetibile questa spianata alsaziana di pasta di pane coperta di panna acida, formaggio fresco, cipolla e pancetta: i miei sani principi da foodblogger con lo scatto facile sono stati intorpiditi dal profumino straordinario di questa delizia. Con immensa gioia della dolce metà (in cui gli stessi profumini scatenano istinti da Unno all’assalto) la macchina fotografica è stata tolta dal tavolo. Abbiamo mangiato con gusto la nostra Flammkuchen. Punto. É scomparsa in un battito di ciglia appena uscita dal forno. Fidatevi... non so che altro dire!!

La Flammkuchenè una specialità alsaziana: un tempo questo sottilissimo impasto di pasta di pane veniva cotto sulla bocca dei forni prima dell’infornata settimanale di pane. La fiamma viva della legna prima di diventare brace, lambiva queste “spianate” cuocendole velocissimamente. Diciamo che era una sorta di termometro commestibile per rendersi conto dell’effettiva temperatura del forno. Io l’ho scoperta a Parigi, perchè un’ amica mi ha portato a mangiare in un ristorante tipico esclusivamente dedicato alla Flammkuchen: per una ventina di euro c’è il menù “a volontà”... Flammkuchen a raffica con sopra ogni sorta di condimento. Ho preso questo menù ogni sacrosanta volta che sono andata lì a mangiare, per poi concludere immancabilmente (a fine serata e con la pancia in mano), che la Flammkuchen migliore è quella classica. Finalmente ho trovato al supermercato la panna acida...così mi sono lanciata!!! Senza varianti bizzarre, e haimè con la macchina fotografica in vacanza!


"Flammkuchen"
 (o Tarte flambée à l’alsacienne)

Tanto per fare la precisetti ho consultato un bel po’ di tomi e anche di siti francesi alla ricerca della ricetta perfetta. In ogni dove ho trovato semplicemente l’indicazione di “pasta del pane” o “pasta del pane con 2 cucchiai di olio” stesa sottilissima, e poi farcita. Alla fine, invece di avventurarmi in terre (e pastadipane) straniere, ho deciso di usare uno dei miei impasti evergreen come base.

Ingredienti per la base: (per 1000 g di pasta)
320 ml acqua
30 ml di olio extravergine di oliva
3 g di sale
640 g di farina bianca 0
4 g di lievito secco attivo

Ingredienti per la farcitura:
150 ml di panna acida oppure di crème fraîche*
150 g di formaggio fresco spalmabile
200 g circa di pancetta (una fetta spessa che poi taglierete voi)
1 o 2 cipolle bianche
pepe nero macinato fresco

*Nel caso non le trovaste consiglio l’home made: 250 ml di panna, 100 g di yogurt e un cucchiaio di succo di limone, mescolare il tutto e lasciare al riposo in frigo per una notte.

Procedimento:
1.In una terrina capiente setacciare la farina bianca. Porre da un lato della montagnola il sale e dall’altro il lievito disidratato. Fare un buco al cento e rovesciarvi un poco di acqua e l’olio. Cominciare a impastare rapidamente con una forchetta aggiungendo l’acqua man mano. Quando si ha una pasta grossolana trasferirla sulla spianatoia infarinata e terminare di impastare. Porre il composto in una ciotola coperta con un canovaccio pulito in un luogo riparato a lievitare per almeno un’ora.
2.Nel frattempo preparare la farcitura mescolando in una ciotola la panna acida, il formaggio fresco. Se si vogliono evitare problemi di digestione delle cipolle tagliarle a fette sottili e sbianchirle rapidamente (2 minuti) in acqua bollente. In questo modo anche il sapore sarà meno accentuato. Tagliare la fettona di pancetta a stricioline (questo blog non concepisce l’uso delle vaschette di pancetta a dadini & simili!). Accendere il forno portandolo alla temperatura massima consentita (tra 200° e 220°)
3.Quando la pasta del pane sarà ben lievitata rovesciarla sulla spianatoia, dividerla in due o tre parti ( un pezzo più piccolo, a seconda teglie  che usate). Preparare un foglio di carta da forno adatto alla teglia che userete per la cottura (io ne ho usate 2 da 40x40 e una tonda da 28 cm di diametro,). Disporre al centro del foglio uno dei pezzi di pasta e stenderlo sottilissimo con il mattarello. Ripetere l’operazione sino a esaurire la pasta restante. Sistemare le sfoglie nelle teglie e farcire distribuendo uno strato sottile di panna e formaggio sulla superficie. Distribuire poi uniformemente anche cipolla e pancetta. Spolverare con pepe nero macinato fresco. Cuocere in forno caldissimo per circa 15 minuti. Servire calda con una birra bionda.

 In tema di formaggi freschi e bianche delizie del mondo caseario vi ricordo il contest Sedici:

http://betullalba.blogspot.it/p/sedici.html
 



Tiropitakia alla menta

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Mi piacciono le cose significative. Le cose con un senso, con una storia, con un ricordo. Così, quando mi sono messa a pensare a qualcosa di degno per contribuire con onore al mitica rubrica StagioniAmo (sono il blog ospite di Luglio :-) ) ho pensato di andare a scartabellare nel mio primo ricettario in assoluto...un quadernino che mi è stato regalato in Grecia da ragazzina. Già all’epoca né caldo né vacanze mi tenevano lontana dalla cucina, così la mia deliziosa ospite un giorno è tornata dalla spesa con questo libretto per me. Sopra ci sono scritte tutte le bellissime ricette greche che ho imparato durante queste mie memorabili vacanze...le avevo anche messe in ordine di gradimento. Per cui ho unito semplicemente l’idea N.1 con la N.2. 

Ovvero Tiropitakia (triangolini di sfoglia ripieni di formaggio), che al tempo erano il mio pranzo sugli scogli, e Pitta Loannina (una Pitta in cui i fogli di pasta sono alternati con formaggio grattugiato e burro). Nel bel mezzo di questi pensieri mi son fatta prendere dalla pigrizia, perché a dirla tutta l’idea iniziale era di usare la pasta phyllo industriale: poi mi sono bastate 4 parole con laMarzia, che è un po’ la mia principessa bionda dell’home made (delle ricette sane, easy e ovviamente stagionali) per farmi ricredere sulle mie capacità. La pasta phyllo, fatta una volta non si scorda più. Come tutti i gesti famigliari, antichi o visti e rivisti. Insomma l’avevo fatta una volta sola, tanto tempo fa da ragazzina...ma che differenza c’è tra la pasta Phyllo e le 33 sfoglie della Torta Pasqualina che ogni anno preparo per il pic nic di pasquetta? Oppure, trasparenza per trasparenza, con la pasta per lo Strudel? Così ho rifatto in casa la pasta Phyllo, scoprendo, con immensa soddisfazione, di saperla ancora tirare benissimo. Ho spennellato ogni sfoglia con un burro aromatizzato alla menta (che, a proposito, è il freschissimo ingrediente di Stagioniamo Luglio), e ho farcito questi fagottini con un ripieno di Feta e Cottage Cheese in memoria delle mie giornate greche in riva al mare. Vuoi il caldo sovrannaturale, vuoi l’uso smodato del mio mattarello d’ulivo, i pensieri a questo punto sono andati alla deriva. “Sparpagliatamente” mi sono venuti in mente: le tresche amorose di miti greci -e la capacità tutta femminile di prendersela sempre e solo con le altre donne (perchè Proserpina non ha trasformato Ade in una pianticella profumata invece di accanirsi con la ninfa Minta?), le lacrime di quell’uomo anziano disperato di fronte al bancomat nella povera Grecia di questa estate 2015, i miei 16 anni, altrettanto tristi e meravigliosi, la parola Piperita dal latino Pepato (anche se a me il pepe sa di fuoco e la menta di ghiaccio), i Tabbouleh mediorientali o gli inglesissimi After Eight, la Alessandra Mentuccia dolce e forte come il suo blog, le sigarette al mentolo (esistono ancora o le fumava solo a mia maestra di danza?) e poi i boschi della mia infanzia e i rametti profumati che raccoglievo per fare minestroni immangiabili. Malinconica, umorale e ombrosa la Menta richiede saggezza. Esige moderazione, mano esperta e pazienza. Come con i ricordi. Ci si può invischiare dentro e perdersi, o usarli per volare. In ogni caso grazie Stagioniamo...la pasta phyllo è un “ritorno al futuro” in cui non avrei creduto senza di voi!

Sui blog di queste tre leggiadre donzelle (Marzia -Coffee&Mattarello-, Teresa -Crumpets&Co.- e Federica -CaffèBabilonia-) nelle prossime settimane leggerete altre ricette gustose&curiose a base di menta (dopo il mio antipasto ci saranno un primo, un secondo e un dolce). Cioè avrete un intero menù fresco e mentoso per superare l'afa di luglio! E infine ci sono anche i consigli di un super Mastro Birraio, cioè Giuseppe di Diario Birroso, che per questo piatto ha pensato ad un abbinamento con la Bianca Piperita, del birrificio  OPPERBACCO...una birra a bassa gradazione alcolica rinfrescante con piacevoli note di menta (è prodotta proprio con foglioline di Menta piperita)!
Bello no? Dai, bellissimo!



“Tiropitakia alla menta”

Ingredienti Pasta Phyllo:
300 g di farina 0
130/150 g di acqua calda (50°)
1 cucchiaio di olio extravergine di oliva
1 cucchiaino di aceto di mele
1 cucchiaino di sale fino
Maizena q.b per la spianatoia

2 g di foglie di menta fresca
50 g di burro

sesamo e burro fuso q.b (per decorazione)

Ingredienti per il ripieno:
200 g di Feta Greca
150 g di fiocchi di latte (Cottage Cheese)
2 uova intere
pepe nero macinato fresco
un pizzico di noce moscata

N.B:con queste dosi si ottengono 18 tiropitakia. Se non si ha voglia di fare la phyllo in casa si può utilizzare quella che si trova comunemente confezionata nel banco frigo o surgelata. Mediamente di quella industriale sono sufficienti 3 o 4 fogli sovrapposti. Tra uno e l’altro spennellare con burro aromatizzato alla menta seguendo le dosi qui indicate per ottenere il medesimo risultato.

Procedimento per fare la pasta Phyllo:
-In una ciotola capiente setacciare la farina, aggiungere sale, aceto, olio, poi, partendo dal centro unire l’acqua calda poco alla volta. Mescolare con una forchetta, poi non appena l’impasto è abbastanza consistente rovesciarlo sulla spianatoia infarinata e lavorarlo a mano. Ungere la palla di impasto, metterla in un piatto, avvolgerla nella pellicola per alimenti e riporla in frigorifero per circa 2 ore.
-Fare fondere il burro in un pentolino, nell’attesa fare un trito finissimo con le foglie di menta fresca mondate e asciugate. Aggiungere questo trito al burro fuso, unire un pizzico di sale e uno di mescolare bene. Fare riposare.
-Trascorso il tempo di riposo dell’impasto tirarlo fuori dal frigo, pesarlo e dividerlo in 8 palline di pasta uguali (io ne ho fatte 8 da 58 g l’una). Ungerle appena e conservarle su un piatto coperte di pellicola per alimenti.
- Preparare la spianatoia spolverandola di maizena. Prendere una delle otto palline di pasta e con il matterello cercare di tirare una sfoglia il più sottile possibile. Più il mattarello è piccolo di diametro meglio è...eventualmente si può sempre usare il manico di legno della scopa (ben pulito mi raccomando!). Io ho cercato per comodità di dare alle sfoglie una forma rettangolare, ma andrà bene anche tonda. Una volta ottenuta una sfoglia sottilissima (come per lo strudel occorre poter leggere una lettera d’amore attraverso la pasta...solo così si ha la certezza che la sfoglia è davvero sottile), spolverizzate di maizena il piano del tavolo e disponetevi la sfoglia.
-Scaldare il burro aromatizzato alla menta e spennellare grossolanamente la superficie della sfoglia (se non volete fare la phyllo aromatizzata alla menta spennellate semplicemente con burro o con acqua... tra una sfoglia e l’altra comunque è necessario un “legante”).
-Procedere con le altre palline di pasta: tirare la sfoglia, appoggiarla con delicatezza su quella imburrata (cercare di farle più o meno della stessa misura) e imburrarne la superficie. Se si riescono a fare sfoglie molto molto sottili (quasi trasparenti) se ne possono sovrapporre otto. Se invece notate che le sfoglie vi vengono un po’ spesse fatene due sovrapponendo solo 4 sfoglie per volta. Ovviamente non bisogna imburrare l’ultima sfoglia in alto (la quarta o l’ottava).
- Spolverizzare nuovamente di maizena spianatoia e matterello. Stendere la pasta fino ad avere una sfoglia sottilissima. Dividerla a metà. Se non la si usa immediatamente lasciarla sotto un panno umido per evitare che si secchi .
Procedimento per fare i tiropitakia:
- A questo punto procedere preparando il ripieno: in una ciotola rompere con le mani la feta greca (se è molto umida asciugarla con carta da cucina). La feta deve essere ridotta in briciole dall’aspetto molto sabbioso. Aggiungere i fiocchi di latte, le uova e il pepe nero macinato fresco e la noce moscata  secondo i gusti. Mescolare rapidamente con una forchetta.
-Accendere il forno e portarlo a 150°.
-Tagliare la pasta phyllo a strisce di circa 8/10 cm di larghezza x 30 cm di altezza. Disporre mezzo cucchiaio di ripieno all’estremità della striscia, a un paio di cm dal bordo. Ripiegarvi sopra un angolo formando così un triangolo. Ripetere fino ad arrivare all’ultimo lembo che va fatto aderire con cura grazie a un poco di burro fuso o di acqua. Ripetere l’operazione fino ad esaurire la pasta e il ripieno. Disporre i triangolini in teglie foderate con carta da forno, infine spennellare con burro fuso e cospargerli con semi di sesamo.




- Cuocere in forno caldo per circa 30 minuti, o comunque fino a che non saranno gonfi e dorati.




Bocconcini di pesce persico al Parmigiano e basilico per #PRChef2015

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Siccome è già la terza volta che partecipo al contest di Parmigiano Reggiano, quest’anno ho deciso di provare a lavorare su uno dei pregiudizi della tavola più duri a morire: l’abbinamento tra prodotti caseari e pesce. Anche chi non se ne intende affatto sa che accostare latticini e pesce è praticamente un’eresia, soprattutto in Italia.

 Però a me piace giocare con il fuoco! E "pane, burro e alici" mi picchiava in testa come uno di quei ritornelli da tormentone estivo semplicemente perfetti. Allo stesso tempo fior fiore di professionisti dell’alta cucina ha basato il proprio successo su questo stravagante abbinamento. Qualche esempio? Davide Scabindel Combal Zero (To) che nel 1998 ha creato il geniale "Carpaccio d'astice con fonduta di gorgonzola" e continua a deliziare i suoi clienti con piatti come il “Risotto con gamberi crescenza e funghi”o i più recenti “Conchiglioni di pasta monograno Felicetti ripieni di burrata e riccio di mare”. Anche Enrico Zanirato giovane talento della ristorazione piemontese alTajùt di San Mauro (To) propone piatti comeCarpaccio di dentice, salsa al parmigiano e tartufo estivo”, “Paccheri freddi ripieni di scampi crudi su salsa di panna e ostriche”, “Astice al vapore a Blu di Morozzo”. Impossibile poi non citareLuciano Zazzeri, chef stellato del ristorante La Pineta di Marina di Bibbona, che durante l’ultimo Cheese ha dedicato un intero laboratorio all’insolito accoppiamento facendo assaggiare “Latte cagliato e riccio di mare”, “Sgombro con marzolino”, “Crostone di cozze con parmigiano e lardo”, “Riso al nero di seppia alla livornese con Parmigiano Reggiano”.Insomma, non sempre i matrimoni su cui tutti scommettono sono gli unici ad essere felici! Io qui avevo anche il limite degli ingredienti: solo 4 compreso il Parmigiano... e per non naufragare su una salsina di pere noci e formaggio da spalmare sul pane mi son data al pesce. Osa Betulla...osa, mi diceva il grillo parlante giallo che vive sui pensili della mia cucina. E alla fine ho osato...con grande soddisfazione (con qualche naso storto prima e stupore sazio felice poi).

"La semplicità è mettersi nudi davanti agli altri"scriveva Alda Merini... Vale anche per gli ingredienti...in cucina!

“Bocconcini di pesce persico al Parmigiano e basilico”
Ingredienti:
500 g di pesce persico
100 g di semola di grano duro
35 g di Parmigiano Reggiano grattugiato (stagionatura di 33 mesi)
5 g di basilico
pepe bianco e sale q.b
olio per friggere (arachidi)

Procedimento:
-Togliere dal pesce persico le eventuali spine, poi, su un tagliere dividere il filetto in piccoli bocconcini (3 cm x 3 cm).
-Lavare le foglie di basilico, asciugarle bene nella carta da cucina poi tritarle finemente.
-In un piatto fondo mescolare la semola di grano duro con il Parmigiano (grattugiarlo fresco) e il basilico tritato. Unire un pizzico di pepe bianco macinato fresco, poi impanare con cura i bocconcini di pesce persico. Disporli tutti su un piatto.
-In una padella bassa e larga scaldare l’olio per la frittura. -Friggere i bocconcini e disporli su un piatto coperto di carta da cucina per assorbire l’unto in eccesso. Salare secondo i gusti. Servire bollente come aperitivo in piccoli cartocci di carta paglia.
Con questa ricetta partecipo a 4Cooking di Parmigiano Reggiano:


Involtino di Peperone di Carmagnola con ricotta e radicchio al profumo di basilico

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La scorsa settimana ho partecipato inspiegabilmente ad una gara di cucina organizzato dalla "Città del gusto" di Torino in collaborazione con il Comune di Carmagnola (sede della celebre Sagra del Peperone "Peperò"). Inspiegabilmente, perché io e le competizioni di solito non andiamo d’accordo... e poi inspiegabilmente perché mettersi ai fornelli in uno dei giorni più caldi di questo afoso luglio 2015 non era proprio tra le mie fantasie! Eppure ci sono andata... ho cucinato peperoni tra vapori infernali, e ho anche avuto una menzione d’onore!

Come nelle migliori sfide televisive i concorrenti giocavano in coppia in una fantastica postazione-cucina da fare invidia ai banconi inox di Master Chef. Io sono capitata con tale sig. Marco, giornalista nella vita, e cuoco saggio in questa divertente occasione! Ogni coppia aveva una Mistery Box che conteneva una serie di ingredienti da usare obbligatoriamente per creare una ricetta capace di valorizzare il mitico, carnoso e gustosissimo peperone di Carmagnola. La nostra Mistery Box conteneva: radicchio rosso, formaggio grattugiato, ricotta, panna, mandorle pelate. Diciamo la verità...io avrei desiderato cose come acciughe, tonno, prezzemolo, patate, o almeno gamberoni, macinata e salmone che circolavano nella bollente cucina del Gambero Rosso! Invece nisba. Superata la “delusione del radicchio” ci è venuto in mente di adattare questi ingredienti a un grande classico estivo della cucina piemontese: l’involtino di peperone. Infatti abbiamo usato il radicchio e la ricotta per creare una farcitura da spalmare all’interno del peperone che, arrotolato a chiocciola, è stato passato un una impanatura di mandorle tritate, semola e grana!
Sono stati 90 minuti luunghi, sudati e caotici...ma alla fine involtino fu!!!
E siccome questo piatto sempliciotto (vagamente veg. e vagamente piemontese) ci ha fatto guadagnare la menzione d’onore della giuria (con annessi 5 kg di Peperoni) in mezzo a tante creazioni curiose, ho pensato bene che si meritasse altri 15 minuti di gloria qui sul blog!!

Le dosi sono un po' sommarie perché abbiamo cucinato da cuochi, e non da foodblogger con bilancino alla mano, e anche le foto sono scarse perchè avevo le mani unte&peperonate...comunque sappiate che l’involtino/rondella è un fantastico evergreen che può sempre tornarvi utile. Ed è davvero facilissimo: falde di peperone cotto in forno e pelato + farcitura (tipo patate&tonno, ricotta&capperi, o acciughina&prezzemolo) +impanatura (pan grattato, polenta, semola&mandorle, grana...). L’involtino va ripassato in forno caldo per altri 15 minuti se la farcitura contiene uova crude...e poi lo si può servire così com’è o tagliato a rondelle come abbiamo fatto noi -modello “merenda sinoira” per intenderci!
PepperBetulla (accaldata) vi saluta cari lettori...

 -La severissima giuria (Rosalba Graglia, Davide Damiano e Lorenzo Sola)




La coppia vincitrice: Alessandra Giovanile (www.ricettedicultura.com) & Renato Berra




Queste due fotografie sono di Yari Tumiatti, fotografo ufficiale della manifestazione.
Il protagonista assoluto della serata e della Sagra Pererò: il peperone di Carmagnola

“Involtino di peperone”
Ingredienti:
2 peperoni di Carmagnola
150 g di ricotta
30 g di mandorle
1 testolina di radicchio rosso
2 cucchiai di formaggio grattugiato
1 cucchiaio di panna
1 tuorlo
1 spicchio di aglio
12 foglie di basilico
sale, pepe nero macinato fresco, olio extravergine d’oliva, semola di grano duro

Procedimento:
-Lavare bene i peperoni, poi sistemarli in una teglia su un foglio di carta da forno. Cuocere in forno caldo (180° statico per 20 minuti), o comunque fino a che la pelle dei peperoni non sia bruciacchiata. Trascorso questo tempo, togliere la teglia dal forno e mettere i peperoni in un sacchetto (oppure ricoprire la teglia di carta alluminio sigillando bene i bordi), e fare riposare una mezz’oretta.
-Nel frattempo lavare e asciugare il basilico, poi tritarlo finemente. Metterne da parte metà, e mescolare in una ciotolina la parte restante con due cucchiai di olio extravergine d’oliva in modo da avere un olio aromatizzato per completare il piatto.
-Lavare e mondare la testolina di radicchio e tagliarlo in una sottilissima julienne. In una padella scaldare due cucchiai di olio extravergine con uno spicchio d’aglio (diviso a metà e privato dell’anima). Quando l’olio è caldo rovesciare il radicchio e farlo “sudare” girandolo continuamente con l’aiuto di un forchettone di legno. Dopo pochi minuti il radicchio avrà cambiato consistenza, quindi spegnete il fornello e fatelo raffreddare.
-Su un tagliere tritare finemente il radicchio cotto e mettetelo in una terrina. Aggiungere circa 150 g di ricotta, un tuorlo, un cucchiaio di panna, pepe nero e sale secondo i gusti. Mescolare con cura.
- Pelare peperoni, poi aprirli, dividerli in 4 falde, eliminando il picciolo, i semi e le membrane bianche.
-Tritare le mandorle finissime, metterle in una ciotola e mescolarle a 4 cucchiai di semola, 2 cucchiai di formaggio grattugiato, il basilico tritato e un pizzico di sale. Trasferire il composto su un piatto piano
-Su un tagliere stendere le falde di peperone e farcirle con uno strato sottile di crema di ricotta e radicchio. Arrotolare le falde farcite a chiocciola e fermare l’involtino con uno stuzzicadenti. Passare l’involtino della impanatura di mandorle e semola.
-Trasferire gli involtini in una teglia foderata di carta da forno e cuocerli in forno caldo (180° statico) per circa 15 minuti -l’impanatura deve essere croccante-.
-Fare raffreddare bene prima di tagliare gli involtini a rondelle (si possono anche preparare il giorno prima). Servire le rondelline appena tiepide o fredde con qualche goccia di olio aromatizzato al basilico.



Fusilli integrali con Lüvertin e curcuma

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Non è la prima volta che mi metto a raccontarvi di quanto la nomenclatura popolare del regno vegetale sia scarsamente globalizzata. I nomi comuni delle piante seguono criteri fantasiosi e bizzarri, oppure seguono l’ironia, o più spesso la spicciola osservazione. Così cambiano di regione in regione, o meglio, di paese in paese e di testa in testa...e capita ad esempio che un’ erba spontanea primaverile sia chiamata in tre modi diversi addirittura nella stessa famiglia (dialetto piemontese: Lüvertin; dialetto milanese: Lovertís; dialetto abruzzese: Tenne -in senso lato di tenero germoglio).
Insomma per fortuna c’è il latino, lingua universale dei tempi andati e lingua designata dal buon Linneo per dare un “nome e cognome” certo ad ogni specie di passaggio su questa terra (sempre nome generico maiuscolo ed epiteto minuscolo mi raccomando!). Al momento mi viene anche da dire che per fortuna c’è internet, e con esso la possibilità di scovare testi interessantissimi e gratuiti, come questo adorabile Dizionario botanico che per ogni piantina indica il nome latino, quello italiano, piemontese, francese e inglese. Da qui apprendo che l’ Humulus lupulus, ovvero luppolo selvatico, che tenta le mie papille vagabonde ogni primavera, è chiamato in ben 15 modi diversi solo in Piemonte!

Il luppolo che ho usato in questo piatto è l’equivalente vegetale di certi bambini pestiferi...finchè sono piccoli tutti ridono divertiti del loro carattere selvaggio, bizzoso, e delle loro marachelle...ma quando crescono, gli stessi aspetti non domati sono praticamente insopportabili! Dico questo perchè il luppolo selvatico è veramente delizioso in germoglio, ma è detestabile quando, crescendo, si attorciglia su pali elettrici, reti, muriccioli e staccionate. Sono sicura anche tra di voi c’è qualche anima pia che ha dovuto bonificare un giardino abbandonato di recente...Guardate bene quelle foglioline tra i fusilli. Le riconoscete? Sembrano innocue, ma possono diventare gigantesche, lianose, urticanti e sospinte da una una forza straordinaria (come quella del fagiolo magico della fiaba, perché in primavera il luppolo cresce dai 15 ai 30 cm al giorno). Sarete ancora più contenti di mangiarle! Vero?


“Fusilli integrali con Lüvertin e curcuma”


Ingredienti per due persone:

300 ml di brodo vegetale
80 g di luppolo selvatico (pulito)
2 uova
olio extravergine di oliva

*Ingredienti del commercio equo e solidale.

Procedimento:
-Lavare con cura e mondare il luppolo selvatico, poi pesatene circa 80 g. In una padella tipo wok scaldare i 300 ml di brodo vegetale, aggiungere il luppolo e procedere nella cottura sino al quasi completo assorbimento del liquido (6/7 minuti). Nel frattempo con una forchetta sbattere le uova in una ciotolina stemperandovi mezzo cucchiaino di curcuma in polvere. Quando il luppolo sarà quasi completamente asciutto versare nella padella le uova e rimestare velocemente con un forchettone di legno. Fare rapprendere le uova e spegnere il fuoco.
-Cuocere i fusilli integrali per sette minuti in acqua bollente salata. Scolarli e rovesciare i fusilli nel wok sul condimento di uova e luppolo. Ripassare rapidamente la pasta su fuoco vivace, impiattare e condire con un filo di olio extravergine di oliva a crudo. Servire subito.

Eau de gingembre (Acqua di zenzero, limone e fior d'arancio - ricetta senegalese)

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Ho sempre considerato lo zenzero fresco come un ingrediente prettamente invernale. “Radice di contorta saggezza” portatrice di fuoco e calore! Per cui in questa afosa estate il povero zenzero era proprio l’ultimo dei pensieri nella cucina betulliana. Poi, qualche settimana fa ho organizzato una merenda per fanciulle a base di crostate di mirtilli e limonata. Marzia, principessa bionda dell’home made, ha bussato alla mia porta con il suo sorriso entusiasta e una bella bottiglia di succo di zenzero ghiacciato. 

Meraviglia, e lingua pizzicante, e freschezza! Insomma lo zenzero versione "bevanda estiva" ha conquistato me e ladolcemetà (che lo ha usato per correggere il rum serale bevuto al fresco notturno del giardino). Così ho provato questa boisson senegalese, che a differenza del succo di Marzia (laricetta qui), mi ha permesso di essere pigra al 100% nei confronti dei fornelli: acqua aromatizzata, senza cottura. Dissetante eccellente e (pare) altrettanto eccellente afrodisiaco!!! Con questa chiosa piccante e stupida come un qualsiasi servizio di Studio Aperto sul'estate bollente, vi saluto e vi auguro qualche bel giorno di vacanza. Ci rivediamo al 16 di agosto, con una nuova famiglia di sapori per il nostro piccolo grande contest! Buona estate, buoni letture e buoni sogni!
Betulla.

“Eau de gingembre”
(Acqua di zenzero al limone dal Senegal)

Ingredienti:
2 lt di acqua fresca
100 g di zucchero
50 g di zenzero fresco
1 cucchiaino di acqua di fior d’arancio
il succo di un limone
(eventualmente un pizzico di cannella o di noce moscata grattugiate fresche)

Procedimento:
-Pelare la radice di zenzero, lavarla sotto l’acqua e tagliarla a pezzetti. Metterla nel robot da cucina (o nel mixer) e tritarla con un bicchiere d’acqua fino ad avere una poltiglia fibrosa. Mescore questa poltiglia con i due litri di acqua (meglio usare un recipiente di vetro), e fare macerare per almeno due ore. Trascorso questo tempo filtrare il liquido con un colino finissimo. Aggiungere un cucchiaino di acqua di fior d’arancio, il succo del limone filtrato e circa 100 g di zucchero. Mescolare con cura sino a che lo zucchero non sia completamente disciolto nella bevanda. Imbottigliare e fare raffreddare in frigorifero per un paio d’ore prima di consumare, ovviamente freddissima con ghiaccio e un pizzico di cannella.

Tomini al Verde o Elettrici

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Come sapete ogni occasione è buona per usare questo blog e i piatti che qui pubblico per andare a “spasso nel tempo”. Girovagando tra libri, ricette, tradizioni e ingredienti mi perdo nei mille rivoli di una “Storia parallela” affascinante e ricca tanto quanto quella più ufficiale e studiata. Questa volta il pretesto è stato Sedici, il contest che io e altre 5 foodblogger abbiamo organizzato per esplorare un libro fantastico: la grammatica dei Sapori di Niki Segnit. Siccome questo mese Sedici è dedicato ai sapori Caseari, famiglia vastissima e cangiante, mi è venuta voglia di sapere se l’uomo ha sempre adorato alla follia questo alimento così come noi occidentali facciamo oggi.
La risposta è semplice: no! Per tutta l’età antica, e ancora durante il medioevo, pur se apprezzato e consumato, il formaggio era l’espressione alimentare di un mondo rurale estremamente povero. Il formaggio, con la sua connotazione rustica, pastorale e contadina, era il simbolo di una marginalità da cui i più abbienti prendevano volentieri le distanze (è indicativo il fatto che nel De re coquinaria di Apicio, l’unico ricettario di epoca romana giunto sino a noi, il formaggio compare solo ed esclusivamente come ingrediente per produrre vivande più elaborate, ma mai da solo). A questo aspetto di marginalità sociale e geografica, si sommava una forte diffidenza che la scienza medica nutriva verso il misterioso processo di fermentazione e coagulazione, che si traduceva nel consiglio di consumare il formaggio con parsimonia. Insomma, il formaggio arriva al medioevo con una pessima reputazione: cibo da poveri e per di più dannoso! Nella stessa epoca però si impone l’obbligo, per l’intera comunità cristiana, di rispettare precise norme alimentari scandite dal calendario liturgico: se la carne non si può mangiare (nei giorni di vigilia e in quelli di astinenza infrasettimanale), bisogna cercare un sostituto...e i latticini -con pesce e uova- sono lì a portata di mano (così noi ancora oggi, con un bel paradosso nutrizionale, chiamiamo “di magro” tutti i cibi che non contengono carne ma formaggio). Nonostante questa mezza, necessaria, nobilitazione religiosa la cattiva reputazione del formaggio è dura a morire.
Bisogna aspettare il 1477, quando tale Pantaleone da Confienza, medico e professore dell’università di Torino, pubblica una originalissima Summa lacticinorum*, ovvero, il primo trattato europeo specificatamente dedicato ai latticini. Il dottissimo Pantaleone, “protomedico”, cioè capo dei medici di casa Savoia, aveva viaggiato per tutta l’Europa al seguito della nobile famiglia; in questo modo aveva potuto tastare con mano (e assaggiare) l’ampia tipologia (diversitas) che caratterizza il candido mondo dei latticini. La Summa di Pantaleone è particolarmente importante per due motivi: il primo è che Pantaleone regala al formaggio un’immagine totalmente positiva. Con grande abilità retorica smentisce seccamente tutta letteratura scientifica a lui precedente: semplicemente lui distingue, sostenendo che per ogni persona c’è un formaggio più adatto, alcuni vanno bene per i vecchi, altri per i giovani, e ogni temperamento (collerico, flemmatico, melanconico e sanguigno) vuole il suo. Infine, altra grande novità: Pantaleone scrive «ho visto con i miei occhi re, duchi, marchesi, baroni, soldati, nobili mercanti, plebei di entrambi i sessi nutrirsi volentieri di formaggio – e pertanto evidente che tutti lo approvano ». E qui si rovescia definitivamente il pregiudizio secolare che allontanava il formaggio dalla mensa dei nobili. Dalla Summa in avanti il gusto vincerà su ogni credenza, e i poveri come i ricchi, avranno la gustosa libertà di amare e consumare questo incredibile derivato del latte.
Sabato scrivevo sulle mode alimentari e sulla loro forza... oggi torno a rifletterci passando dalla porta della Storia: pensate che nei secoli successivi il formaggio sarà talmente apprezzato dalla famiglia reale sabauda da rendere necessaria a Corte la presenza di uno specialista assunto esclusivamente per fabbricare i tomini per la tavola del re. 

 
La ricetta di oggi è infatti dedicata a questo piccolo formaggio fresco ancora oggi molto amato in tutto Piemonte, benchè un po’ trascurato, vuoi per la sua semplicità, vuoi per la quantità di titani inarrivabili che affollano i mondo caseario piemontese. Siccome per Sedici mi sono occupata dei formaggi freschi, ne ho cercato uno che rappresentasse un po’ tutta questa ricca regione così importante nella storia del formaggio (e dalla pianura ai monti ogni località, con lievi differenze ha il suo tomino fresco). La ricetta, anche questa volta, è estremamente semplice, ma riesce a trasformare un pallido e lattoso tomino in una merenda sinoira** di carattere. E non è poco. 
 
*Un esemplare della Summa Lacticinorum stampato nel 1477 dal tipografo Jean Favre è alla Biblioteca Nazionale di Torino. L’incunabolo è stato esposto al pubblico lo scorso anno (2014) in occasione di una bella mostra che la Biblioteca ha dedicato al 540°anniversario dell’introduzione della stampa a Torino. Per chi volesse sbirciare la Summa con più agilità è in commercio una bella edizione curata da Slow Food.
**La merenda sinoira è la versione popolare e piemontese del brunch domenicale, non è però l'unione tra la colazione e il pranzo di chi ha fatto qualcosa il sabato sera (e ha dormito fino a tardi il mattino dopo), ma la commistione tra merenda pomeridiana e la cena di chi ha fatto qualcosa la domenica mattina, e alle 16.30 del pomeriggio si ritrova con una fame da lupo. Solitamente una merenda sinoira si risolve senza tanti fronzoli: pane, salame, e volendo qualche acciughina al verde, tomini. E naturalmente vino rosso, robusto!

"Tomini al Verde (o Elettrici)"

Ingredienti:
6 tomini freschi
un bel ciuffo di prezzemolo
3 spicchi di aglio
½ peperoncino piccante
aceto di vino rosso
olio extravergine di oliva
pepe nero macinato fresco
sale
(eventualmente un cucchiaio di salsa al pomodoro)

Procedimento:
Tomino Elettrico è il nome popolare e relativamente recente di una variante piccante dei più classici Tomini al Verde. Per questi ultimi si trita finemente il prezzemolo insieme all’aglio, poi si mette il composto in una ciotola e vi si aggiungono olio sale e pepe sino ad avere una salsa con cui ricoprire i tomini spruzzati d’aceto. Nella variante “elettrica” insieme a prezzemolo e aglio si trita anche un bel pezzo di peperoncino fresco (ed eventualmente -specie in estate- si amalgama il tutto con un cucchiaio di salsa pomodoro). In entrambi i casi poi si unge una terrina, o un vaso si vetro, si mettono due cucchiai di salsa sul fondo, si sistemano i tomini e li si spruzza di aceto di vino rosso. Coperti con il resto della salsa si lasciano riposare in frigorifero per almeno 48 ore prima di consumarli.
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